
I GRAVI EFFETTI NON VOLUTI DELL’EDITING GENOMICO
di Daniela Conti
I media non fanno che decantare le meraviglie dell’editing genomico e del suo strumento di elezione, il sistema CRISPR/Cas9. La narrazione imperante lo definisce uno strumento preciso, rapido, flessibile e relativamente poco costoso per modificare qualsiasi genoma (l’intero DNA di un organismo) esattamente nel modo in cui vogliamo. Una vera meraviglia, insomma. E a giudicare dal boom nell’applicazione di queste tecniche – soprattutto in agricoltura e, in prospettiva, nella terapia genica umana – è evidente che si tratta di uno strumento molto potente e alla portata della maggioranza dei laboratori. Ma, per dirla con le parole di De André, non possiamo ignorare che anche nel “giardinò incantato” di CRISPR “c’è il bene e c’è il male”. Guardare dietro lo specchio con l’immagine rassicurante costruita dai media è più che mai necessario, visto che l’immissione nell’ambiente e sul mercato di molti prodotti – alimenti, nuove piante, nuove terapie – ottenuti con l’editing genomico è prevista nel giro di cinque anni.
Qualche cenno sulle tecniche di editing genomico
Scoperto nel 2012 nei batteri, il sistema CRISPR/Cas9 costituisce una difesa dei batteri contro i virus che li attaccano. In seguito alla scoperta che il sistema poteva essere utilizzato per l’editing (la modifica) di qualunque DNA, il suo uso si è esteso molto rapidamente e ha in pratica soppiantato quello dei precedenti strumenti per l’editing del DNA. Queste tecniche sono indicate con vari nomi, di solito con editing genico o genomico (gene o genome editing), ma per le piante si usa spesso nbt (new breeding techniques); di recente le istituzioni europee hanno introdotto come termine generale ngt (new genomic techniques). Il sistema CRISPR/Cas9 è costituito da due componenti principali: (A) un RNA guida (gRNA) derivato dalla sequenza CRISPR, il quale dirige (B) la proteina Cas9 (una nucleasi che taglia i filamenti del DNA) verso una specifica sequenza di basi nel DNA prescelto. Qui giunta, Cas9 taglia entrambi i filamenti del DNA, dando origine a “doppie rotture” che vengono poi riparate, con precisione variabile, dai meccanismi insiti nella cellula sottoposta all’editing.
Dopo il 2012, la diffusione di questa tecnica è stata esplosiva. Per quanto riguarda l’editing delle piante, al primo posto per numero di esperimenti troviamo la Cina (40%; con gli altri paesi asiatici si arriva al 53%), seguita dagli USA (33%; tutto il Nord America arriva al 34%) e dall’Europa (13%). Delle oltre 50 specie vegetali sottoposte all’editing, la più studiata è il riso (45% degli studi), seguita da tabacco, pomodoro, mais, grano, soia, patata e molte orticole (dati tratti dallo studio del 2019 visibile 1 qui, descritto in https://nuovabiologia.it/organismi-modificati-con-lediting-genomico-ogm-o-non-ogm/).

Effetti avversi dell’editing genomico
Il primo punto su cui occorre fare chiarezza è la vantata “precisione” di CRISPR/Cas9, la cui azione si pretende sia limitata esattamente alla sequenza bersaglio prescelta. Ma molti studi hanno dimostrato che CRISPR/Cas9 induce, oltre alle modifiche desiderate, anche alterazioni non volute, spesso diffuse su tutto il genoma editato. Tali alterazioni possono consistere in:
(1) Effetti off-target: CRISPR/Cas9 taglia il DNA anche in siti di micromologia, cioè a livello di sequenze simili al bersaglio ma fuori da esso (= off-target). Vedi, ad esempio, per le cellule umane e animali 2 qui; 3 qui e per le piante 4 qui; 5 qui; 6 qui; e 7 qui.
(2) Effetti on-target, cioè alterazioni non volute nella sequenza bersaglio dell’editing, quali estese alterazioni genomiche strutturali – come delezioni, duplicazioni e traslocazioni di lunghi frammenti cromosomici – e la frequente produzione residuale di proteine anomale ad effetto sconosciuto. Vedi, ad esempio, 8 qui e il già citato 2 qui.
(3) Integrazione di frammenti di DNA estraneo, in vari siti del genoma editato. Se l’editing implica l’uso di vettori virali o batterici, può verificarsi l’integrazione non voluta dei vettori – interi o frammenti – nel DNA editato. Poiché i vettori sono di origine virale o batterica, il loro inserimento nel DNA dell’organismo editato fa di esso un OGM secondo la definizione classica. Vedi, ad esempio, il famoso caso dei vitelli editati per essere senza corna con TALEN, una nucleasi diversa da Cas9, 9 qui; e l’esperimentò sul riso 10 qui.
(Per ulteriori approfondimenti su questi temi e sugli studi citati, vedere anche https://nuovabiologia.it/organismi-modificati-con-lediting-genomico-ogm-o-non-ogm/ e https://nuovabiologia.it/nbt-oltre-la-propaganda/)

I vitelli nati senza corna perché editati con TALEN portano inserito nel loro DNA l’intero vettore usato per l’editing, quindi sono OGM secondo la definizione classica
Le mutazioni non volute indotte da CRISPR/Cas9 possono ingenerare proteine tronche o nuove e sconosciute, dagli imprevedibili effetti allergenici o tossici. Ma anche le modificazioni “volute” possono essere fonte di rischi nuovi e imprevisti. Spesso si dice che le mutazioni prodotte dall’editing genomico sono indistinguibili dalle mutazioni naturali o indotte con le tecniche convenzionali. Ma questa affermazione non è corretta: molte applicazioni di editing inducono nel DNA cambiamenti che vanno ben oltre le potenzialità dei metodi convenzionali per portata, profondità e velocità d’azione, come sottolineano due importanti, aggiornate, rassegne (vedere 11 qui e 12 qui), pubblicate nel 2020 e 2021. Gli autori di queste due rassegne – tutti ricercatori attivi presso istituti e agenzie per la Protezione dell’Ambiente di alcuni stati europei: Germania, Polonia, Austria, Italia (ISPRA) e Svizzera – hanno analizzato la letteratura scientifica, allo scopo di valutare la sicurezza dei nuovi prodotti dell’editing e l’adeguatezza delle attuali regolamentazioni europee circa le piante geneticamente modificate.

Nelle loro conclusioni, oltre a sottolineare – come si è detto – la non precisione delle nuove tecniche e la loro non equivalenza con quelle convenzionali, questi autori mettono in evidenza che:
- anche quando non introducono sequenze di DNA estraneo nell’organismo editato, queste tecniche non possono di per sé essere considerate più sicure della transgenesi che produce gli OGM classici, poiché non vi sono conoscenze sufficienti per ritenere sicure le alterazioni non volute da esse provocate;
- per la stessa ragione, anche quando l’editing introduce “piccoli” cambiamenti nel DNA genomico, ciò non è un indicatore affidabile di sicurezza e di assenza di rischi;
- la accelerazione dei processi di selezione di nuove varietà di piante, che si sostiene sia resa possibile dall’editing, non è affatto una garanzia di sicurezza. Anzi, la maggiore velocità delle procedure di selezione può significare un rischio maggiore, poiché non lascia il tempo né per un accurato rilevamento né per l’efficiente eliminazione di eventuali combinazioni nocive ad opera dei meccanismi naturali;
- tutte queste problematiche sollecitano la non esclusione di nessuna categoria dei nuovi prodotti dell’editing dalla regolamentazione europea sugli OGM, e sottolineano la necessità di valutarne caso per caso i potenziali nuovi rischi.
(E’ interessante ricordare che le due citate rassegne prendono in considerazione anche i pareri espressi dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare – EFSA – in merito alla sicurezza delle piante editate. Gli autori sollecitano l’EFSA a migliorare le sue linee guida sulla valutazione del rischio delle piante editate e criticano le posizioni assunte dall’Agenzia, allineate a quelle di particolari gruppi d’interesse – scientifici e commerciali – che vogliono rendere meno stringenti le attuali regolamentazioni sulle piante geneticamente modificate.)
Vediamo ora di entrare maggiormente nel merito dei nuovi rischi individuati dell’editing genomico, prima nel caso delle piante, poi delle cellule umane e animali.

Nuovi rischi collegati all’editing delle piante
Spesso l’obbiettivo dell’editing genomico è quello di mettere fuori uso (knock out) particolari geni bersaglio (target) causando, tramite il taglio di Cas9, l’introduzione di inserzioni e/o delezion (indel) che disorganizzano il gene target, inattivandolo. Sebbene, come emerge dal già citato lavoro 1 qui, fino a maggio del 2018 ben l’87% degli studi di editing delle piante abbia avuto come scopo il knock out di un particolare gene, e sebbene questo approccio continui a rappresentare oltre il 50% di tali studi (con tutti i potenziali effetti avversi di cui sopra), occorre tenere conto del fatto che si stanno diffondendo anche altri approcci. Per esempio, tramite l’uso simultaneo di più gRNA differenti, CRISPR/Cas9 può essere usato per alterare contemporaneamente più copie di un gene, o più geni differenti e non correlati. O ancora, la creazione di enormi banche dati (pangenomi) contenenti le sequenze di tutte le varietà note – coltivate o selvatiche – di una certa specie, sta consentendo esperimenti di cosiddetta ‘domesticazione ex novo’ delle specie più studiate, come il riso, il grano e il pomodoro. Inoltre, il sistema CRISPR/Cas9 oggi è in grado di intervenire anche su parti del genoma che i meccanismi cellulari naturali tendono a proteggere dalla mutazione.

E’ importante inoltre ricordare che CRISPR/Cas9 induce un’alterazione particolare e differente in ogni singolo sito bersaglio, nonostante la somiglianza fra le sequenze; in ogni sito si possono così generare nuovi schemi di lettura del codice genetico, i quali a loro volta possono portare alla sintesi di proteine anomale. “In definitiva, in ogni singolo sito bersaglio possono formarsi nuovi mRNA e le relative proteine insolite, che a loro volta possono in seguito causare effetti indesiderati. Inoltre, possono formarsi anche varie specie alterate di RNA regolatori” (Kawall K. Plants (Basel). 2021; 11 qui).
Le recenti applicazioni di CRISPR/Cas9 permettono di introdurre nelle piante caratteri completamente nuovi, cioè non presenti nelle piante agricole attualmente coltivate, oppure caratteri già esistenti ma in contesti genetici differenti. In tutti questi casi, manca una storia di ‘uso sicuro’ della nuova pianta, e mancano dati e conoscenze sufficienti sui meccanismi fisiologici sottostanti ai nuovi caratteri, quindi la modifica genetica può essere fonte di rischi del tutto imprevisti. “La complessità a cui si fa qui riferimento è la combinazione di diverse alterazioni, molto improbabili da verificarsi spontaneamente in natura o da ottenersi con la mutagenesi casuale” (Kawall K. Plants (Basel). 2021; 11 qui).


Campo di grano
Vediamo ora alcuni studi esemplificativi dei nuovi rischi collegati con l’applicazione di CRISPR/Cas9 alle piante.
Mutazioni nel riso editato con CRISPR/Cas9
In uno studio cino-australiano, Biswas et al. (13 qui) hanno trovato in piante di riso editate non solo mutazioni on- e off-target ma anche l’inserimento di elementi esogeni, ancora presenti nelle generazioni derivate dalle piante editate. Tali elementi esogeni, e inoltre Cas9, hanno mostrato pattern ereditari inaspettati anche nelle piante delle generazioni successive (analizzate fino alla quarta). Gli autori concludono che “la caratterizzazione molecolare precoce e accurata e lo screening devono essere effettuati per più generazioni prima di lasciare che i prodotti del sistema CRISPR/Cas9 passino dal laboratorio al campo”.
Il grano con meno glutine
In un esperimento per ottenere un grano a basso contenuto di glutine, Sanchez-Leon et al. (14 qui) hanno trattato con CRISPR/Cas9 la famiglia dei geni per le α-gliadine, le glicoproteine che stimolano la reazione immunitaria dei pazienti celiaci. Sono state ottenute ventuno linee di piante mutanti, con riduzione del contenuto di α-gliadine. Dei 45 geni diversi per α-gliadine, fino a 35 sono stati simultaneamente alterati dall’editing nel genoma di una stessa pianta.

Grano
CRISPR/Cas9 ha indotto alterazioni differenti in ogni singolo sito bersaglio, come indicano i differenti tipi di inserzioni/delezioni trovati nei diversi target. Anche se il grano ottenuto contiene effettivamente meno glutine, è necessario non limitarsi al riscontro del prodotto finale ma occorre procedere a un’accurata valutazione dei possibili rischi per la salute e l’ambiente. Infatti non si può evitare di considerare l’ampiezza delle alterazioni introdotte in questo genoma, con tutti gli effetti imprevisti che ne possono derivare. Come si riporta nella già citata rassegna (11 qui) commentando un parere espresso dall’EFSA nel 2021 a proposito di questo lavoro (che l’Autorità europea considera un caso di “biologia sintetica”, cioè un intervento molto profondo e complesso su un genoma): “Secondo l’EFSA, il caso di studio dimostra che è necessaria una strategia per identificare il tipo di alterazione e la posizione in ogni singolo gene, al fine di prevenire l’accumulo di qualsiasi frammento peptidico non voluto [57]”.

Il pomodoro che produce più GABA
Il primo – e per ora unico – prodotto di CRISPR/Cas9 approvato (in Giappone) per la commercializzazione e il consumo umano è un pomodoro con un maggiore contenuto di GABA, l’acido gamma-amminobutirrico. Questo pomodoro è stato prodotto da una start-up collegata a un’università giapponese e viene commercializzato tramite Pioneer EcoScience (15 qui; 16 qui). Il nuovo pomodoro viene presentato come un mezzo utile “nel ridurre la pressione sanguigna elevata e nell’alleviare lo stress” (16 qui).
Il GABA è un’importante molecola di segnalazione, ubiquitaria in natura; negli umani è il principale neurotrasmettitore cerebrale ad azione inibitoria; la sua insufficienza d’azione può portare alla assunzione di tranquillanti. Nelle piante il GABA è un fondamentale fitormone, che svolge un ruolo cruciale nei processi di sviluppo della pianta e nella regolazione dell’equilibrio carbonio-azoto. E’ noto che il GABA si accumula nei tessuti vegetali in risposta a stress biotici e abiotici. Un eccesso di GABA può portare a gravi difetti dello sviluppo della pianta, come steli corti e scarsa crescita.
Per aumentare il contenuto di GABA nel frutto del pomodoro, gli scienziati giapponesi hanno editato un gene per un enzima fondamentale nella via di biosintesi del GABA, così da rendere l’attività di quest’enzima costitutiva – cioè continua, sottratta ai normali feedback metabolici di regolazione. Ma l’aumento di questa attività può alterare in modo significativo l’intero equilibrio metabolico, a cominciare dai rapporti carbonio-azoto, con numerosi effetti negativi sulla crescita della pianta.

Concentrare l’attenzione sul prodotto finale (il pomodoro con contenuto di GABA più elevato) porta a sottovalutare la relazione che ogni gene, e ogni suo prodotto, ha con tutti gli altri elementi del suo contesto genomico e con l’ambiente. Questo fatto da solo – purtroppo molto frequente negli esperimenti di editing – è sicuramente foriero di effetti non voluti e imprevedibili. Nel caso specifico di questo pomodoro, l’approccio tutto orientato al prodotto finale si rivela ancora più insufficiente e discutibile, se si tiene conto di quanto affermano gli stessi autori dello studio (15 qui): “L’assunzione giornaliera di 10-20 mg di GABA riduce efficacemente la pressione sanguigna negli adulti con ipertensione lieve…. Questa quantità di GABA è equivalente al livello presente in 10-20 g di peso fresco di pomodoro [editato], che corrisponde … a un decimo di un grande frutto di tale pomodoro”. Non si sa quanto appetibile e ancora nutriente potrà risultare quel grande frutto al decimo giorno, posto di non volere superare il consumo giornaliero consigliato di GABA. E in caso di superamento della quantità consigliata, quali ne sono gli effetti poi?

Campi di riso in Giappone
‘Domesticazione ex novo’ e pangenomi di specie agronomiche importanti
La rapida crescita della genomica vegetale, consentita dalle nuove tecniche di sequenziamento dei genomi e dallo sviluppo di super-computer per l’elaborazione veloce di grandi quantità di dati, ha aperto la possibilità di costruire i cosiddetti pangenomi per le specie più studiate. Idealmente, un pangenoma è la raccolta delle sequenze genomiche di tutte le varietà note di una data specie, sia selvatiche sia coltivate. L’analisi del pangenoma consente di individuare nelle varietà selvatiche della specie l’eventuale presenza di varianti genetiche corrispondenti a caratteri andati perduti nelle varietà coltivate, ma che sono considerati utili. Quindi si interviene con CRISPR/Cas9 per modificare con l’editing anche più geni simultaneamente, allo scopo di ottenere piante ibride che mantengono alcune caratteristiche del progenitore selvatico originale, e altre che sono il portato della selezione sulle varietà coltivate, fino a oggi operata con metodi convenzionali. Attualmente sono già stati pubblicati i pangenomi delle principali colture più spesso sottoposte all’editing: riso, pomodoro e grano (vedi p.e. 17 qui; 18 qui; 19 qui).

Campi di riso nel Laos
Come si è detto, nelle piante che si ottengono con la ‘domesticazione ex novo’ tratti originari vengono ricombinati – tramite CRISPR/Cas9 – con tratti che sono il risultato di millenari processi di domesticazione e selezione. Anche se i caratteri inseriti possono essere stati recuperati da varietà già esistenti, la combinazione che si viene a formare è del tutto nuova, non ha una storia né di ‘uso sicuro’ né di relazioni ecologiche sicure. Un organismo è sempre il frutto dell’equilibrio tra tutti gli elementi genetici del suo genoma e di questi con tutti i fattori ambientali. Non è pensabile che un equilibrio che ha richiesto millenni, anche di selezione, per stabilirsi possa essere stravolto ‘ex novo’ , nel giro di poche generazioni vegetali, senza conseguenze impreviste e non desiderabili. Puntare sulla velocità può essere rischioso, perché ogni nuova combinazione genetica deve comunque passare attraverso il vaglio di lunghe verifiche in campo (e prima ancora in laboratorio, vedi il già citato 13 qui).
Inoltre occorre tenere conto del fatto che, soprattutto negli esperimenti di ‘domesticazione ex novo’, è possibile che alterazioni non volute siano indotte in regioni del genoma che i meccanismi cellulari di riparazione del DNA (fondamentali per l’editing) tendono a proteggere in modo preferenziale dalle mutazioni, regioni che proprio per questo motivo sono per lo più inaccessibili alle tecniche convenzionali di mutagenesi. Si tratta, quindi, di regioni genomiche a bassa ricombinabilità (vedi p.e. 20 qui) per loro intrinseca natura. In uno studio condotto sulla pianta modello Arabidopsis thaliana e pubblicato nel 2020, Monroe et al. (21 qui) hanno trovato che i tassi di mutazione spontanea variano nel genoma a seconda di molte caratteristiche strutturali locali, che influenzano l’organizzazione della cromatina e l’espressione genica. Questi risultati indicano che i meccanismi di riparazione del DNA agiscono in modo diverso a seconda del contesto epi/genetico delle sequenze. Gli autori concludono che tali meccanismi esercitano un’influenza primaria nell’indirizzare l’evoluzione della pianta; si tratta quindi di processi da considerare con attenzione e da non trascurare, come spesso accade in questi esperimenti di editing.

Campi di riso in Indonesia

Campo sperimentale di Camelina sativa
Impatto ecologico delle piante editate
Un altro aspetto molto importante e poco esplorato delle recenti applicazioni dell’editing è rappresentato dai loro potenziali impatti sugli equilibri ecologici. In uno studio teso specificamente all’analisi di questi aspetti, Katharina Kawall (22 qui) ha preso in considerazione l’esperimento condotto per modificare la composizione in acidi grassi della Camelina sativa, i cui semi oleosi sono usati per la produzione di biocarburanti. Nel 2016, l’applicazione simultanea di CRISPR/Cas9 a tre loci genici nel genoma complesso (= poliploide, cioè con molti set di cromosomi) di C. sativa ha permesso di ottenere (23 qui) un olio con un minore contenuto di acidi grassi polinsaturi e un maggiore accumulo di acido oleico, più adatto agli usi industriali.
Un esperimento simile, di alterazione della composizione in acidi grassi, era stato in precedenza effettuato da un altro gruppo di ricerca (24 qui). In una soia già transgenica, modificata per ridurre la produzione di acido linoleico e linolenico (polinsaturi) e aumentare quella di acido oleico, era stato poi applicato l’editing, mediante la nucleasi TALEN (lo strumento di elezione prima di CRISPR/Cas9) al gene per un altro enzima. La soia così ottenuta, transgenica e in più editata, è stato il primo prodotto dell’editing approvato per la commercializzazione negli USA.
Manca tuttavia una valutazione approfondita circa altri possibili effetti sul metabolismo vegetale, dovuti alle interazioni fra i geni, effetti che potrebbero avere un impatto diretto oltre che sulla pianta anche sugli ecosistemi. Per esempio, sarebbe necessario controllare se si sono formate alterazioni non volute nella biosintesi di fitormoni o di composti volatili, importanti per la segnalazione intra- e inter-specifica e per i meccanismi di difesa delle piante.

Ape bottinatrice

Cavalletta succhia il nettare di un fiore e intanto lo impollina
Tali composti, che permettono alle piante di rispondere ai cambiamenti ambientali e agli stress, ad esempio alle infestazioni di insetti parassiti, sono sintetizzati a partire dall’acido linolenico. Poiché con l’editing la produzione di questo acido viene ridotta, le piante editate possono diventare più sensibili agli attacchi degli insetti nocivi, alle malattie e agli stress abiotici, come indicano vari studi condotti sulla soia.
Nell’articolo citato (22 qui), Kawall riferisce che studi recenti hanno dimostrato una riduzione nelle dimensioni del cervello e nelle capacità cognitive e di orientamento di api mellifere sottoposte a una dieta carente di omega 3 (derivanti dall’acido linolenico). Tutti gli animali, umani compresi, non essendo in grado di sintetizzare l’acido linolenico – precursore di molte biomolecole essenziali per il loro sviluppo – devono necessariamente introdurlo con la dieta. Quindi, alterare l’equilibrio di questi acidi grassi essenziali nelle reti alimentari può non essere una buona idea, né dal punto dii vista ecologico né da quello della salute umana.

Farfalla succhia il nettare di un fiore e intanto lo impollina
Oltre ai problemi connessi con l’alterazione delle reti ecologiche, le piante editate – soprattutto quelle destinate a essere coltivate su grandi estensioni di terreno – pongono gli stessi, gravi, problemi già dimostrati dagli OGM transgenici (vedi https://nuovabiologia.it/ogm-da-ventanni-in-campo-con-quali-effetti/ ). In breve tempo possono sfuggire alle coltivazioni e diffondersi come erbe infestanti persistenti nell’ambiente. Inoltre possono ibridarsi con parenti selvatici, o altre piante affini.
La Camelina, ad esempio, si propaga con grande facilità nell’ambiente agricolo, e sarebbe quindi un facile veicolo per la diffusione di geni dal potenziale impatto negativo sugli ecosistemi. La valutazione dei rischi delle piante editate non può prescindere dal valutarne le possibili interferenze con la comunicazione tra piante e fra piante e animali, le interazioni con i microbiomi del terreno, i possibili effetti negativi sugli insetti benefici e in particolare sugli impollinatori.
Gravi effetti non voluti dell’editing di cellule umane e animali
Un giudizio condiviso da tutti gli autori di vaste rassegne che hanno preso in esame gli studi di editing delle piante è che solo di rado, in questi esperimenti, vengono condotte analisi approfondite sugli effetti non voluti on- e off-target, sulle loro cause e sulle eventuali conseguenze nocive per l’organismo e l’ambiente. Spesso nelle applicazioni di CRISPR/Cas9 ‘orientate al prodotto’ prevale un’ottica commerciale e ciò che conta è arrivare il più velocemente possibile al prodotto che si presume appetibile per il mercato.
Per fortuna, nelle applicazioni cliniche dell’editing genomico si procede con maggiore attenzione, dato che lo sbocco applicativo diretto di queste procedure è, in prospettiva, l’intervento terapeutico su pazienti umani. Per questo i rapporti di esiti negativi degli esperimenti di editing condotti su animali, o su linee di cellule umane coltivate, sono non solo molto più numerosi degli analoghi studi relativi all’editing delle piante, ma anche molto illuminanti sull’azione del sistema CRISPR/Cas9 e sui suoi aspetti ancora poco conosciuti e potenzialmente pericolosi. Mi limiterò quindi a citare solo due di questi articoli, l’uno pubblicato a febbraio di quest’anno e l’altro ad aprile del 2021, entrambi di enorme rilevanza. Data l’ampiezza della letteratura esistente sugli effetti non voluti di CRISPR/Cas9 nelle cellule animali e umane, rimando per ulteriori risultati osservati alle bibliografie con decine e decine di titoli che corredano questi lavori.

Pesce zebra (Danio rerio), un modello animale molto usato nella sperimentazione
Il primo articolo che intendo citare è opera di scienziati delle università di Leiden, Olanda, e di Uppsala, Svezia, ed è apparso su Nature Communications il 2 febbraio 2022 (25 qui). Gli autori dimostrano che “l’editing con CRISPR-Cas9 può introdurre in vivo mutazioni non volute, che vengono trasmesse alla generazione successiva”. I ricercatori hanno editato uova fecondate di pesce zebra, quindi hanno esaminato con metodi di sequenziamento più sensibili di quelli usuali, il DNA di oltre 1100 individui fra larve, pesci giovani e adulti, nell’arco di due generazioni. Hanno così trovato nelle larve una frequenza del 6% di mutazioni on- e off-target. Inoltre hanno trovato che gli adulti derivanti da quelle larve “sono mosaici nelle loro cellule germinali [gameti], e che il 26% della loro prole porta una mutazione off-target e il 9% una mutazione on-target”. Gli autori così concludono: “Infine, rispetto alla eventuale manipolazione di embrioni umani, il nostro studio aggiunge ulteriori argomenti in favore della cautela, a causa delle mutazioni non volute, le quali possono avere conseguenze gravi per l’individuo e, in alcuni casi, per le generazioni future.”.

Rappresentazione grafica della cromotripsi, letteralmente “frammentazione dei cromosomi” (da Nature, v. testo)
Particolare interesse merita poi lo studio di Leibowitz et al. (26 qui) pubblicato online nell’aprile del 2021 su Nature Genetics, opera di ricercatori in maggioranza attivi presso prestigiosi istituti di Harvard. Il risultato fondamentale di questo lavoro è evidenziato già dal titolo: “Chromothripsis as an on-target consequence of CRISPR-Cas9 genome editing” (La cromotripsi quale conseguenza on-target dell’editing genomico con CRISPR-Cas9), Cromotripsi è un termine derivato dal greco, e significa letteralmente “fare a pezzi i cromosomi”. Si tratta di un risultato di eccezionale importanza, emerso qui per la prima volta. Riporto integralmente l’Abstract di questo articolo (il grassetto è mio):
“L’editing del genoma ha potenzialità terapeutiche rispetto al trattamento delle malattie genetiche e del cancro. Tuttavia, gli approcci attualmente più praticabili si basano sulla generazione di rotture a doppio filamento nel DNA (DSB), che possono dare origine a uno spettro ancora poco caratterizzato di anomalie strutturali dei cromosomi. In questo lavoro, utilizzando cellule modello e il sequenziamento dell’intero genoma di singole cellule, nonché modificando un locus clinicamente rilevante in cellule clinicamente rilevanti, dimostriamo che l’editing con CRISPR-Cas9 genera difetti strutturali del nucleo, micronuclei e ponti cromosomici, che avviano un processo mutazionale chiamato cromotripsi.
La cromotripsi è un esteso riarrangiamento cromosomico limitato a uno o pochi cromosomi che può causare malattie congenite umane e cancro. Questi risultati dimostrano che la cromotripsi è un effetto on-traget finora non rilevato prodotto dalle doppie rotture nel DNA bersaglio generate da CRISPR-Cas9. Man mano che l’editing genomico verrà utilizzato nella clinica, il possibile verificarsi di estesi riarrangiamenti cromosomici dovrà essere preso in considerazione e monitorato”.
Così prosegue poi l’introduzione: “…Sono state descritte varie promettenti strategie basate su CRISPR che non richiedono intermedi con doppie rotture del DNA, ma sono ancora in una fase iniziale di sviluppo e non sono ancora state adattate agli studi clinici. Inoltre, queste strategie generano DNA a filamento singolo che, con frequenza relativamente bassa, può convertirsi in rotture a doppio filamento.
E’ importante capire gli effetti genotossici associati con l’editing genomico a scopo terapeutico mediante CRISPR-Cas9. Mentre si è prestata molta attenzione agli effetti ‘off-target’ non voluti, si sa molto meno sulle potenziali conseguenze dannose derivanti dalle doppie rotture on-target prodotte dall’editing. Tali rotture del DNA on-target possono indurre tumori”.
Dopo avere rilevato nelle cellule editate la formazione di rotture cromosomiche, micronuclei e ponti fra cromosomi – ponti che poi si spezzano producendo frammenti isolati -, gli autori hanno lasciato che queste cellule si dividessero per poi esaminare i cromosomi delle loro figlie e quindi delle ‘nipoti’. La cromotripsi prodotta dall’editing nelle cellule madri si trasmette con estese anomalie cromosomiche alle cellule delle generazioni successive.

Il fenomeno della cromotripsi

Considerazioni conclusive
Da questa rapida panoramica di risultati recenti nel campo dell’editing genomico mediante CRISPR/Cas9, risulta con chiarezza che si tratta di una tecnologia ancora in fase di sviluppo. Come ben dimostra il lavoro di Leibowitz et al. con il suo riscontro di cromotripsi (cromosomi fatti a pezzi) nelle cellule editate e la trasmissione di anomalie cromosomiche alle generazioni cellulari successive, i punti oscuri che restano da chiarire sono ancora molti, e fondamentali come i meccanismi stessi d’azione del sistema di editing. La corsa alle applicazioni e la fretta di arrivare a prodotti appetibili per il mercato è, più che mai in questo caso, una cattiva consigliera.
Ma anche altri aspetti vanno tenuti in conto e devono finalmente diventare il tema di una discussione generale, tesa a individuare nuove strategie per costruire il futuro. In tempi in cui è necessario e urgente dare soluzione a crisi planetarie, come il declino rapido e generalizzato della biodiversità e il riscaldamento globale, occorre compiere scelte nettamente divergenti dall’economicismo – i principi imperanti del Mercato e dell’‘economia first’ – che ci ha portato alle crisi di oggi.

A partire dalle emergenze presenti, occorre individuare nuovi criteri su cui fondare le attività produttive e la ricerca scientifica che può sostenerle. Credo che i problemi messi in luce da questa serie di articoli, in particolare da quelli sulle applicazioni di CRISPR/Cas9 in agricoltura, diano indicazioni importanti nella direzione di una produzione agricola basata su principi di ecocompatibilità, e aiutino a individuare terreni di ricerca scientifica improntata alla salvaguardia della biodiversità. Molti degli articoli sopra citati sottolineano la scarsità delle conoscenze sulle relazioni ecologiche tra le specie di ogni particolare ecosistema, relazioni che, per la nostra stessa sopravvivenza, non possiamo continuare incoscientemente a ignorare e a calpestare come abbiamo fatto fin qui. La vera produttività, quella che ci garantisce sul lungo periodo, sta nel rispettare e far fiorire la biodiversità.

Infine da questi risultati emerge un punto teorico, troppo spesso eluso ma sempre più fondamentale: il modello basato esclusivamente sul modificare la sequenza di basi nel DNA non regge più. Molti, moltissimi esperimenti lo dimostrano ormai da tempo (da decenni) e anche questi recenti risultati dell’editing ne sono una conferma ulteriore.
Il modello di miglioramento genetico fondato sul considerare un organismo come il prodotto unicamente di un DNA che è poco più della sommatoria di singoli geni e che funziona nel totale isolamento dal suo ambiente, è stato dimostrato falso dalle recenti scoperte di genetica ed epigenetica.

Oggi la scienza ha accertato che il sistema genetico di un organismo è costituito da DNA + RNA + proteine, che interagiscono fra loro e con l’ambiente. Si tratta di passare da un modello meccanico e riduttivo a un modello sistemico e interattivo. Ogni singolo elemento – anche la proteina Cas9 – non è riducibile né alla sequenza nel DNA né alla sua funzione, in questo caso quella di tagliare il DNA. Cas9 non è una macchina, né una ‘forbicina’ da maneggiare sapientemente per ottenere ciò che si vuole. Cas9, come qualunque altro elemento di un sistema vivente, è essa stessa un sistema che, momento per momento, ha la potenzialità d’interagire con ogni atomo/segnale presente nel contesto in cui si trova. Credo legittimo supporre che l’imprevedibilità di Cas9 (ma potrei dire anche del DNA) dipenda proprio da questo.
Dobbiamo imparare a vedere ogni organismo, in primis noi stessi, come un sistema aperto e in continua interazione con tutto. La vita è interazione, adattamento e co-evoluzione. Questo può diventare il principio su cui impostare una nuova visione del mondo. La scienza con i suoi potenti strumenti può esercitare un’influenza enorme su questa necessaria inversione di rotta. Ma se non sceglierà di tenere come cardine etico l’agire indipendente da interessi mercantili e a favore del bene comune primario che è la vita, anche la scienza non potrà che cadere vittima dell’illusione – perdente per tutti – della tecnologia che tutto risolve.

Source: https://www.unpri.org/
BIBLIOGRAFIA
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