GENETICA, EVOLUZIONE E BIODIVERSITA’
Questo articolo è un estratto dal documento “Costruire il futuro: Curare la biodiversità agricola e naturale” (prossimo link), scritto da un gruppo di persone perché fosse parte integrante del progetto “Biodiversità e sementi contadine”, presentato alla Regione Emilia-Romagna dalla Rete per la Sovranità Alimentare (prossimo link) e dal CRESER (Coordinamento Regionale per l’Economia Solidale in Emilia-Romagna)
(L’immagine di copertina è tratta da Dario Dongo, OGM, il nuovo impero che avanza, 26/07/2019. Dal sito di Great Italian Food Trade, GIFT.)

Sommario:
Perché le tecnologie del DNA non possono essere la soluzione
- Il Teorema Fondamentale della Selezione Naturale, principio alla base dell’evoluzione
- I caratteri agronomicamente importanti sono quantitativi e controllati da molti geni
- La nuova genetica: dai geni isolati alle reti geniche influenzate dall’ambiente
- Il DNA non è un file Word
- L’epigenetica
La soluzione è conservare e favorire la biodiversità agricola e naturale
(Nota: i numeri progressivi che compaiono fra parentesi a fianco delle voci bibliografiche sono relativi alla bibliografia del documento originale.)

PERCHÉ LE TECNOLOGIE DEL DNA NON POSSONO ESSERE LA SOLUZIONE
Se davvero vogliamo curare la terra, gli OGM – e quindi anche le nbt (vedere nel blog l’articolo Nbt, oltre la propaganda) – non possono rappresentare un’opzione valida, e non solo per i limiti tecnici sopra descritti (vedere nel blog OGM: più di vent’anni in campo, con quali effetti? e Nbt, oltre la propaganda). Nell’intricata rete di relazioni che regge ogni ecosistema – compreso quello costituito da un campo coltivato – il DNA delle piante non è che una delle componenti in gioco. Per dare soluzioni durature ai problemi della produttività e sostenibilità delle colture, la scelta tecnologica di modificare la sequenza del DNA vegetale è una scelta miope, che non tiene il passo né con l’ecologia né con la scienza. Proviamo a esaminarne in breve i diversi perché.
- il primo perché dipende dal principio biologico che è alla base dell’evoluzione, noto come “Teorema fondamentale della selezione naturale” (66: Fisher, 1930). Facciamo un esempio. Un campo composto, poniamo, da piante GM che producono proteine insetticide, sottoporrà a una forte pressione selettiva gli insetti che vivono in quel campo e che di quelle piante si nutrono. Se nel patrimonio genetico di alcuni di questi insetti ci sono geni che li rendono resistenti alle proteine insetticide delle piante GM, non tutti moriranno. Dai sopravvissuti deriveranno le popolazioni successive, che arriveranno a essere composte da insetti tutti resistenti alle tossine, a quel punto inutili, delle piante GM. (Come abbiamo visto nell’articolo OGM: più di vent’anni in campo, con quali effetti?, è quanto succede puntualmente con gli OGM resistenti agli insetti, o agli erbicidi nel caso delle erbe infestanti.) Le soluzioni tecnologiche come le piante GM sono soluzioni che ricadono “entro la capacità di cambiamento micro-evolutivo del parassita” (67: Robinson, 2009). Abbiamo già visto molti esempi della rapida evoluzione di resistenze ai pesticidi nei parassiti agricoli e nelle erbe infestanti, ma ve ne sono numerosi altri (p.e. 68: Stuckenbrock e McDonald, 2008; 69: Bøhn e Millstone, 2019), a ennesima conferma della validità di questo principio.

- Il secondo perché dipende dal fatto, ben noto a tutti i genetisti agrari, che la maggior parte dei caratteri agronomicamente importanti sono controllati da molti geni distribuiti su tutti o quasi tutti i cromosomi. Quindi non basta modificare la sequenza di un solo gene, poiché questi caratteri – fra cui le resistenze alle malattie – sono influenzati da tanti elementi genetici, ognuno dei quali apporta un proprio contributo (70: Adhikari et al. 2020).
- Il terzo perché ha a che fare con il concetto generale di “gene”. Tutte le tecnologie basate sulla modifica della sequenza del DNA, siano esse i vecchi OGM o le new breeding techniques, si fondano su un concetto lineare di gene ampiamente falsificato dai dati scientifici degli ultimi 40 anni di ricerche

La concezione su cui si fondano le tecniche di modificazione genetica vede il DNA come una sequenza di “lettere” (le basi azotate) in cui sono scritte, come tante parole (i geni), le istruzioni per ottenere le proteine, le quali fanno di un organismo quello che è (determinano i suoi caratteri). Oggi sappiamo che questa visione – quella su cui si è costruita l’ingegneria genetica – è solo una parte del quadro, e la più “semplice”. A tal punto si è creduto in questa visione, che oggi sappiamo parziale, da arrivare a formulare il “dogma centrale” della biologia molecolare, secondo cui l’informazione genetica fluisce in una sola direzione: dal DNA (i geni), all’RNA (gli intermediari funzionali), alle proteine (i caratteri). Ciò ha fatto del DNA, per decenni, il monarca assoluto del mondo vivente. “Non posso farci nulla, è scritto nel mio DNA”, quante volte abbiamo sentito, e continuiamo a sentire, questa frase errata?
Ma fin dagli anni Ottanta si è iniziato a scoprire che la relazione tra geni e proteine, cioè tra DNA e caratteri, non è affatto univoca, che il DNA è più un insieme di predisposizioni che non di rigide determinazioni dei caratteri individuali.

Infine, negli ultimi vent’anni, la scoperta dell’epigenetica ha chiuso il cerchio, individuando i meccanismi con cui l’informazione fluisce anche in senso opposto: dall’ambiente al DNA. E questo flusso modifica di continuo, in maniera reversibile ma anche ereditaria, il funzionamento del DNA.
Oggi più che di geni, che non si sa più bene come definire tanto il quadro si rivela complesso, si preferisce parlare di reti geniche regolative che coinvolgono l’intero genoma (71: Portin e Wilkins, 2017; 72: Claverie, 2005; 73: Davidson e Erwin, 2006: 74: Griffiths e Stotz, 2006; 75: Keller e Harel, 2007).
La metafora del DNA come sequenza di lettere, che si possono correggere nella parola “giusta” per arrivare a ottenere il carattere “giusto”, non è più valida, anzi è profondamente fuorviante. Il DNA NON è un file Word, né l’editing è un semplice “copia-incolla”, o un “taglia-e-cuci” mediante bisturi precisi e solo in punti precisi. La complessità del “sistema DNA” è tale che, volendo tenere in piedi la metafora del “libro della vita” e della scrittura, dovremmo pensare piuttosto a un insieme fatto di parole spesso sovrapposte, o a incastro l’una dentro l’altra, parole che possono essere a volte lette, altre volte non lette, o lette da sinistra a destra ma anche da destra a sinistra, oppure lette con un inizio e una fine differenti, variabili, senza confini prestabiliti. E parole capaci di interagire fra loro, modificandosi fino a cambiare il significato l’una dell’altra e quindi dell’intero messaggio, a seconda delle esigenze del momento, che la cellula – l’unità basilare della vita – percepisce “leggendo” i segnali in arrivo dall’ambiente interno e esterno, un’intelligenza propria di ogni vivente.

Di tale complessità le attuali tecnologie del DNA, tutte, nbt comprese, non tengono nessun conto. Continuano a trattare la pianta (in genere, ogni vivente) col suo DNA come un individuo isolato, mentre è un mondo inserito in un mondo più grande, col quale interagisce adattandosi di continuo, per sopravvivere. Ricordiamoci del teorema fondamentale della selezione naturale.

L’epigenetica è una branca della genetica in rapida evoluzione. Dagli studi, sempre più numerosi, emerge un quadro ove il DNA non è un sistema fisso e isolato. ma un insieme dinamico che funziona in modo adattabile e reversibile rispondendo alle condizioni ambientali. L’attenzione si sposta dall’elemento “gene” agli intricati processi di regolazione delle reti genetiche, dove il DNA è il database a cui l’organismo attinge per funzionare. (Per una introduzione generale sull’epigenetica, si può vedere p.e. Wikipedia, oppure il video: Cancro: dalla genetica all’epigenetica, conferenza del Dr. E. Burgio, 19 Feb 2020. Per approfondimenti specifici, p.e. 76: Rassoulzadegan et al., 2006; 77: Jablonka e Raz, 2009: 78: Ling e Rönn, 2019).

LA SOLUZIONE È FAVORIRE LA BIODIVERSITÀ AGRICOLA E NATURALE
Dopo aver visto perché la soluzione non può venire dalle biotecnologie, va ricordato che esiste una vastissima letteratura scientifica sul valore della biodiversità. Una pubblicazione della Royal Society (79: Signe White et al., 2020) chiarisce fin dal titolo di che cosa si tratta: “La eterogeneità dell’ospite rallenta l’evoluzione della virulenza”, cioè quanto più le piante di un campo sono fra loro geneticamente diverse, tanto più la virulenza di un parassita (nello studio, un batterio) sarà rallentata. Pensiamo questo dato alla luce del fatto che le piante di un campo GM sono tutte geneticamente omogenee, in quanto cloni. Tutta questa letteratura, da anni, dice la stessa cosa: la diversità tra colture ed entro colture (miscugli e popolazioni) è la migliore e più duratura difesa sia contro i parassiti che contro il cambiamento climatico (Ceccarelli e Grando, op. cit. 7).
(Parte conclusiva de L’INTRECCIO DELLE CRISI AMBIENTALI nel documento COSTRUIRE IL FUTURO: CURARE LA BIODIVERSITÀ AGRICOLA E NATURALE): Per essere efficaci e sostenibili sul breve e sul lungo te rmine, le soluzioni a problemi così intricati e imprevedibili nella loro evoluzione temporale [come la crisi climatica e il declino della biodiversità] devono necessariamente procedere proprio da quella complessità, cioè dalla ricchezza di potenzialità racchiusa nel patrimonio genetico delle specie naturali e nell’intreccio di relazioni fra organismi diversi da cui prende forma ogni vivente. In una parola, occorre partire dalla biodiversità. La chiave del futuro sta nella nostra capacità come specie di affiancare e favorire i processi vitali e di resilienza presenti, anzi abbondanti, negli ecosistemi naturali. La cura della biodiversità deve diventare il criterio che orienta ogni scelta e decisione, se vogliamo davvero garantire la salute e il ben/essere delle generazioni presenti e un futuro a quelle che verranno.

