pianticelle editate

Nuovi risultati scientifici sostengono la decisione dell’Europa di classificare OGM gli organismi ottenuti con l’editing genomico [1]

di Daniela Conti

 

A che punto è il confronto sulle nuove tecnologie genetiche

Con la sentenza del 25 luglio 2018 la Corte europea di giustizia ha stabilito che anche gli organismi ottenuti con le nuove tecniche di editing genomico debbano essere considerati geneticamente modificati (OGM). In quanto tali, i nuovi organismi sono regolati dalla direttiva europea 2001/18/CE sull’immissione deliberata di OGM nell’ambiente, la quale stabilisce che un OGM può essere autorizzato solo dopo un’approfondita valutazione dei rischi per l’ambiente e per la salute umana, e ne rende obbligatori la tracciabilità, l’etichettatura e il monitoraggio.

Questa decisione ha suscitato una fortissima reazione, capeggiata da Bayer/Monsanto e sostenuta da importanti istituzioni scientifiche, come il Max Planck Institute. In una lettera inviata nel luglio 2019 ai Commissari europei (vedi qui ), un dirigente della Bayer afferma che, nel valutare i nuovi organismi e i loro prodotti, l’Europa dovrebbe attenersi a criteri incentrati su “il prodotto finale e non il processo” con cui lo si ottiene.

Questa è anche la posizione assunta dalle autorità federali americane dell’US Department of Agriculture (USDA), che hanno stabilito la totale deregulation delle piante editate (cioè modificate con l’editing genomico) e dei loro prodotti. Non sono OGM, quindi non devono sottostare alla valutazione dei rischi ambientali e della tossicità a lungo termine, ma hanno via libera per l’immissione diretta sul mercato e senza etichettatura. Negli USA ci si aspetta la messa in commercio nei prossimi anni di migliaia di prodotti derivanti da organismi editati: alimenti, farmaci, cosmetici, biocarburanti, ecc…

I fautori della commercializzazione diretta degli organismi editati sostengono che non si tratta di OGM. Secondo la definizione standard, sono OGM gli organismi nel cui DNA sono stati inseriti geni estranei (cioè di altre specie, perciò si parla di transgenesi). Nell’editing genomico l’obbiettivo è invece quello di mettere fuori uso (knock out) particolari geni bersaglio o ‘target’, mediante l’inserimento di volute mutazioni on-target (= nel bersaglio), oppure di sostituire il gene bersaglio con una differente versione genica, derivata dalla stessa specie o da una specie affine (cisgenesi; vedi in questo blog l’articolo Le due facce di CRISPR-Cas ). In questo modo si può in teoria ‘correggere’ (editing) la sequenza originale e modificare, insieme ad essa, il funzionamento del gene bersaglio e il prodotto proteico che ne deriva.

I sostenitori della deregulation dei prodotti dell’editing asseriscono che al termine delle procedure di laboratorio – lunghe e complesse – con cui gli organismi vengono editati, nel loro DNA non resti alcuna traccia della manipolazione. Perciò non ci sarebbe nessuna differenza – essi affermano – tra una mutazione ‘naturale’ e la mutazione introdotta con l’editing, quindi gli organismi editati e i loro prodotti non sarebbero da considerare OGM.

 

Cenni tecnici sull’editing genomico

Per orientarci meglio in questa discussione, ecco qualche cenno sulla tecnica dell’editing (per maggiori informazioni, vedi qui). grafica editing geneticoIl più recente strumento per l’editing, scoperto nel 2012 da due ricercatrici, è il sistema chiamato CRISPR-Cas9, con cui i batteri si difendono dalle invasioni dei loro virus tagliando in pezzetti il DNA virale a livello di specifiche sequenze di basi. Il sistema è costituito da due componenti principali: (A) un RNA guida (gRNA) derivato dalla sequenza CRISPR, il quale dirige (B) la nucleasi (= proteina) Cas9 verso una specifica sequenza di DNA; qui giunta, Cas9 taglia entrambi i filamenti del DNA. Le rotture dei due filamenti del DNA prodotte da Cas9 vengono poi riparate, con precisione variabile, da meccanismi insiti nella cellula sottoposta all’editing.

Per entrare nelle cellule e agire, le due componenti del sistema devono essere ‘montate’ su vettori, in genere molecole circolari di DNA derivate da batteri (dette plasmidi) o da virus. Il sistema CRISPR-Cas9 più usato viene isolato dallo Streptococcus pyogenes, un batterio patogeno presente anche sulla pelle.

 

 

 

CRISPR-Cas9 è il metodo di editing più utilizzato

Prima del 2012, altri strumenti erano già in uso per modificare le sequenze di basi nei DNA (p.e. le nucleasi Zinc Finger [ZFN] e TALEN). Poiché comportano procedure molto più lunghe e complicate – sebbene spesso più precise – di CRISPR-Cas9, l’utilizzo di tali

strumenti è nettamente diminuito. Grazie a semplicità, rapidità e bassi costi, il sistema CRISPR-Cas9 ha comportato un aumento vertiginoso nel numero degli esperimenti di editing su piante e animali.

 

Dopo le luci… le ombre

A fronte di tanti pregi, esiste tuttavia un ‘lato oscuro’ di CRISPR-Cas9, legato alla sua sempre più discussa precisione. Sono molti, infatti, i lavori che riportano effetti non voluti di questa tecnologia.

  • Molte volte si tratta di mutazioni (inserzioni e/o delezioni) di poche basi, ma altre volte implicano inversioni e riarrangiamenti di lunghi tratti di cromosoma in siti del DNA definiti ‘off-target’, cioè fuori dal bersaglio. A mutare sono spesso siti con sequenze simili a quelle del target (non certo rare nel DNA, la cui struttura è ripetitiva). Di queste mutazioni si ignorano gli effetti sull’organismo, e quindi i potenziali rischi di sviluppi patogeni (vedi qui ).
  • Inoltre, da dati sperimentali recenti è emerso che le alterazioni introdotte da CRISPR-Cas9 possono essere mutazioni ‘on-target’ non volute della funzione del gene bersaglio. Vedremo tra poco perché questa scoperta è importante.
  • Ancora, come hanno dimostrato di recente alcuni importanti lavori, nei siti di taglio di Cas9 (o nei pressi) possono inserirsi frammenti dei componenti stessi dell’editing, o anche interi vettori usati nelle procedure di laboratorio. Poiché sia vettori che componenti dell’editing sono di origine batterica, il loro inserimento (interi o in frammenti) nel DNA dell’organismo editato fa di quell’organismo un OGM secondo la definizione classica.
Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier-Le scopritrici di CRISPR-Cas9

Le scopritrici di CRISPR-Cas9: l’americana Jennifer Doudna e la francese Emmanuelle Charpentier

Prima di addentrarci nella descrizione di questi aspetti critici (validi per l’editing sia delle piante che degli animali), vediamo una fotografia di quanto è esteso l’editing di piante mediante CRISPR-Cas9.

 

 ‘Mappa sistematica’ dell’editing di piante con CRISPR-Cas9

Un’esaustiva panoramica dell’uso di CRISPR-Cas9 nell’editing di genomi vegetali è stata pubblicata a luglio 2019, sviluppata da ricercatori dell’istituto federale tedesco di Biosicurezza delle biotecnologie vegetali (vedi qui ) Poiché, citando gli autori, “…queste nuove tecniche [di editing] non escludono, né di per se stesse né completamente, il verificarsi di effetti off-target”, lo scopo del lavoro era individuare quanti studi di editing dei genomi vegetali abbiano trovato effetti off-target e di quale tipo. Per farlo, gli autori hanno sondato con parole chiave e criteri di ricerca opportuni i maggiori database scientifici on-line.

Numero e diffusione degli esperimenti di editing delle piante   Prendendo in considerazione tutti gli articoli sull’editing delle piante pubblicati tra gennaio 1996 e maggio 2018, gli autori hanno individuato 1328 studi rispondenti ai criteri di ricerca.

Gli studi di editing con CRISPR-Cas9 sono risultati ben 1032 su 1328 (circa il 78%). A grande distanza troviamo gli esperimenti con TALEN (128 studi, 10% circa del totale) e ZFN (73 studi, circa il 5%).

Al primo posto per numero di esperimenti sulle piante mediante CRISPR troviamo la Cina (40%; con gli altri paesi asiatici si arriva al 53%), seguita dagli USA (33%; tutto il Nord America arriva al 34%) e dall’Europa (13%). Gli altri continenti sono al di sotto dell’1%.

Delle 51 specie di piante sottoposte all’editing, la più studiata è il riso (45% degli studi), seguita dalla pianta modello Arabidopsis (16%), quindi da tabacco, pomodoro (6%), mais, grano, soia, patata e molte orticole.

 

Effetti off-target dell’editing

Come si è detto, molti lavori hanno messo in luce il verificarsi di mutazioni off-target nei DNA editati, più spesso in esperimenti su cellule animali, ma anche nelle piante (per gli animali vedi ad esempio qui  e per le piante qui, qui,  e qui). In questi lavori tali effetti sono definiti un problema molto comune, attenuabile ma non del tutto eliminabile, dell’editing mediante CRISPR-Cas9. Soprattutto questi articoli sottolineano l’insufficienza degli attuali metodi di sequenziamento per identificare su interi genomi (e non solo su sequenze preindividuate da algoritmi) gli effetti off-target, che spesso – affermano gli autori – sarebbero passati inosservati.

modifica del dna con l'editing

Il lavoro della ‘mappa sistematica’ sopra citato, oltre a mettere anch’esso in evidenza i limiti dei metodi attuali per l’individuazione delle mutazioni off-target, rileva un ulteriore dato molto importante: solo in 228 sui 1032 (22%) studi di editing di piante con CRISPR-Cas (e in 9 su 128 = 7% studi con TALEN) si è proceduto a una valutazione degli effetti off-target. Cioè in meno di un quarto degli studi di editing delle piante si è condotta un’approfondita analisi delle possibili mutazioni fuori bersaglio, non volute, nel DNA editato. Ovvio concludere che, se non le si cerca, di certo poi di queste mutazioni non si trova traccia.

 

Effetti on-target non voluti dell’editing

Un lavoro pubblicato alla fine del 2019 su Nature Methods (vedi qui ) riporta i risultati di uno studio al quale hanno collaborato ricercatori del Laboratorio europeo di biologia molecolare e della GlaxoSmithKline – entrambi a Heidelberg, Germania – insieme a ricercatori dell’università di Stanford, California. Scopo del lavoro era valutare se il gene bersaglio dell’editing con CRISPR-Cas9 viene davvero messo fuori uso dalla manipolazione genetica, come vorrebbero i ricercatori. In altre parole, si è valutato se davvero il gene bersaglio dell’editing cessa di produrre la sua proteina.

Lavorando su cellule umane coltivate, gli autori di questo lavoro hanno trovato che in circa un terzo dei siti bersaglio editati con CRISPR-Cas9 la produzione e l’attività della rispettiva proteina si manteneva, in certi casi a livelli praticamente normali. Inoltre i processi cellulari di riparazione del DNA, attivati dal taglio di Cas, avevano dato origine a sequenze mutate che portavano alla sintesi di proteine anomale, i cui effetti a breve e a lungo termine restano ignoti. Come sottolineano gli autori: “Mentre l’efficienza dell’editing viene verificata tramite metodi di sequenziamento del DNA, manca finora una ricerca sistematica dell’efficienza con cui viene eliminata la proteina [derivante dal gene editato]”.

Anche se la ricerca di Heidelberg-Stanford è stata condotta su cellule umane, questi risultati, del tutto inattesi, assumono speciale importanza anche per l’editing delle piante. Alla luce del fatto che, come emerge dalla mappa sistematica sopra descritta, ben l’87% degli studi di editing delle piante (1154 su 1328) ha come scopo il knock out di un particolare gene della pianta, è essenziale che anche negli esperimenti di editing dei genomi vegetali venga eseguita la verifica dell’eventuale funzionalità residua della proteina bersaglio, verifica che finora non è mai stata fatta.

bovini senza corna

Con l’editing genetico si sono ottenuti vitelli senza corna

Inserimenti non voluti di DNA estraneo: OGM creati dall’editing

Sorprese dai vitelli senza corna   Nati senza corna dopo che nel 2013 un loro progenitore era stato editato con TALEN da una startup del Minnesota, questi vitelli si erano guadagnati prime pagine e titoli cubitali. Propagandati come la dimostrazione vivente dei prodigi dell’editing, erano uno degli assi in mano ai fautori della deregulation.

Ma nel 2019 la FDA (Food and Drug Administration, che negli USA autorizza i nuovi farmaci e alimenti) esaminando (vedi qui) il DNA di questi vitelli con analisi più approfondite di quelle standard, ha trovato qualcosa sfuggito a tutti fino a quel momento. Nel DNA di questi vitelli c’era sì la versione editata del gene per la mancata produzione di corna, ma c’era anche il DNA dell’intero vettore (un plasmide batterico) con cui le componenti dell’editing erano state trasferite al genoma bovino, vettore che oltretutto si era trasmesso dal bovino inizialmente editato a tutta la sua discendenza. Essendo il plasmide composto da DNA di varie specie batteriche, compresi anche geni per la resistenza ad antibiotici (di cui sarebbe anche opportuno limitare la possibile diffusione), questi vitelli ricadono palesemente nella definizione di OGM.

Ne è nato un grande scandalo. La FDA era stata fino a quel momento accusata di bloccare lo sviluppo di un settore industriale dal grande futuro, poiché, a differenza di quanto aveva fatto il Dipartimento dell’Agricoltura con i vegetali, non aveva mai dato il via libera agli animali editati e ai loro prodotti, regolandoli alla stregua dei nuovi farmaci. I fatti hanno dato ragione alla sua prudenza.

Le piante di riso non sono da meno    Un gruppo di agronomi dell’Iowa State University a Ames riferisce, in un articolo pubblicato da Nature alla fine del 2019 (vedi qui), i risultati di un esperimento in cui è stato editato un gene del riso, applicando il sistema CRISPR-Cas9 con tre diverse metodiche. Due metodi (detti biolistici) implicavano di bombardare le cellule del riso con particelle d’oro rivestite dai componenti dell’editing + i vettori. Il terzo metodo utilizzava il T-DNA di Agrobacterium (un batterio che infetta le piante e trasferisce geni nel loro DNA, mediante il tratto detto T-DNA del suo plasmide che induce tumori nei vegetali). Tutte e tre le metodiche comportano la costruzione di complicati vettori, a partire da plasmidi batterici. Su alcuni vettori vengono montati i componenti dell’editing; su altri si inseriscono geni batterici di resistenza ad antibiotici o a erbicidi, usati per la selezione delle cellule modificate; altri vettori ancora servono a trasferire i costrutti precedenti al DNA delle cellule da editare. Anche se la struttura portante del vettore è di origine batterica, ogni costrutto è un mosaico di elementi genetici da diverse specie, non solo batteriche.

Con entrambi i metodi biolistici gli autori hanno trovato nei siti bersaglio di Cas9 inserimenti inattesi di DNA di origine batterica e di DNA cromosomico del riso frammentato e riarrangiato. In precedenti esperimenti gli stessi autori avevano dimostrato che anche l’editing con CRISPR e T-DNA porta a inserti non voluti di DNA plasmidico. Essi attribuiscono il non avere osservato gli stessi effetti in questo esperimento al numero non significativo di piante trasformate dal T-DNA.

Un aspetto più volte sottolineato in questo lavoro è, da un lato, l’insufficienza dei metodi di routine per identificare sull’intero genoma delle piante tutte le mutazioni non volute, compresi i frammenti di DNA estraneo. Dall’altro, gli autori enfatizzano il fatto che “la letteratura specializzata spesso non riporta la presenza di questi inserti non voluti, o non fornisce dati dettagliati”.

plasmide Ti con T-DNA

Il plasmide Ti (tumor inducing) di Agrobacterium contiene
il T-DNA che trasferisce geni

CONCLUSIONI

Da questi studi emergono con chiarezza alcuni punti fondamentali:

  1. I metodi standard di analisi del DNA editato sono adatti a verificare nei genomi editati – sia animali che vegetali – la presenza di mutazioni prevedibili e brevi, non quella di mutazioni imprevedibili, e in particolare non di lunghi tratti cromosomici riarrangiati né di DNA estraneo. È necessario applicare metodi di analisi capaci d’indagare l’intero genoma, cosa che finora è stata fatta raramente (meno dello 0,1% degli studi di editing delle piante). Molti studiosi ritengono che le mutazioni non volute introdotte da CRISPR-Cas9 sfuggano spesso alla rilevazione, e che siano in realtà molto più frequenti di quanto riportato nelle pubblicazioni. Occorre uscire dal circolo vizioso che porta a trovare solo le mutazioni che ci si aspetta di trovare.
  2. La verifica (soggetta ai limiti metodologici sopra descritti) della presenza di effetti ‘off-target’ non voluti è stata eseguita solo in meno del 23% degli studi di editing delle piante, una quota davvero insufficiente per sostenere l’affermazione che l’editing non lascia tracce nel DNA. E ancora meno è sufficiente, quindi, a giustificare la deregulation degli organismi editati – animali e piante.
  3. La ricerca sugli effetti on-target non voluti mette in luce, di nuovo, la mancata verifica di aspetti cruciali dell’editing e delle sue conseguenze. Se le tecniche di knock out non mettono sempre fuori uso i geni editati, ma questi spesso producono proteine di cui ignoriamo – perché non le cerchiamo – gli eventuali effetti allergenici o tossici, è chiaro che i prodotti dell’editing devono essere sottoposti a controlli pre-mercato e pre-consumo molto accurati e severi.
  4. Infine, ma non certo di minore importanza, le nuove tecniche di editing non sfuggono neppure alla definizione classica di OGM. Il fatto che anche le nuove tecniche causino l’inserimento nei DNA animali e vegetali sottoposti all’editing di geni batterici provenienti dai costrutti artificiali necessari alle procedure di laboratorio, significa che l’editing comporta un rischio reale di creare vecchi OGM. Ciò rafforza la necessità di mettere in atto tutte le misure necessarie a prevenire possibili danni alle persone e all’ambiente.
editing del DNA

immagine di fantasia per l’editing

L’importante sentenza della Corte europea di giustizia ha il grande merito di avere esteso la definizione di OGM al di là della concezione standard di “DNA con geni estranei inseriti artificialmente”. E correttamente ha messo in evidenza l’importanza del processo con cui si ottengono gli organismi editati. Infatti, le reazioni chimiche dell’editing implicano costrutti ingegneristici (vettori e complessi proteine-acidi nucleici) del tutto equiparabili – nel funzionamento e negli esiti – a quelli utilizzati nell’ingegneria genetica precedente. Questo dato e, aggiungo, le ancora inesplorate interazioni fra DNA, costrutti ingegneristici e la complessa rete del funzionamento cellulare, rendono gli organismi editati del tutto equiparabili ai vecchi OGM per imprevedibilità e possibili rischi.

Inoltre, come si legge nel Comunicato stampa (vedi qui) della Corte, le nuove tecniche di modifica genetica avvengono “a un ritmo e in quantità non paragonabili a quelli risultanti dall’applicazione di metodi tradizionali di mutagenesi. Tenuto conto di tali rischi comuni, escludere dall’ambito di applicazione della direttiva sugli OGM gli organismi ottenuti mediante le nuove tecniche di mutagenesi pregiudicherebbe l’obiettivo di tale direttiva consistente nell’evitare gli effetti negativi sulla salute umana e l’ambiente e violerebbe il principio di precauzione che la direttiva mira ad attuare. Ne consegue che la direttiva sugli OGM si applica anche agli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi emerse successivamente alla sua adozione.” (Il testo originale della sentenza è visibile qui.)

Chiediamo che a questi principi l’Europa continui ad attenersi.

giardino-giapponese

 

 

[1] In questo articolo hanno particolare risalto i dati relativi all’editing delle piante.

Per quanto riguarda l’editing delle cellule animali, la vastità del materiale esistente e il diretto collegamento con la terapia genica umana sono motivo per una trattazione specifica dell’argomento in un prossimo articolo su questo blog.