PERCHE’ NUOVA BIOLOGIA?
Vita: vi siamo immersi come in un grande oceano. Dal microbo alla sequoia, passando per l’uomo, ogni essere ne è pervaso, partecipe, parte essenziale di un Tutto che abbraccia l’intero Universo. Eppure il fenomeno della vita, da secoli l’oggetto di studio della biologia, continua a resistere a ogni esatta definizione, e a sfuggirci in una sua sfera intangibile di mistero. Proprio la vita diventa per la biologia quello che la ‘materia oscura’ è per la fisica: sappiamo che c’è, che è una componente fondamentale dell’Universo, ma non ne conosciamo né l’origine né l’essenza.
Seguendo le orme della fisica, la biologia dell’ultimo secolo ha cercato nell’infinitamente piccolo di atomi e molecole i mattoni fondamentali, arrivando a individuare nella molecola del DNA la spiegazione ultima della vita. In una perpetua tensione prima alla conoscenza poi al controllo della vita, dal Novecento a oggi la biologia ha visto lo sviluppo della genetica e infine delle moderne biotecnologie, che con le loro applicazioni concrete stanno avendo un peso sostanziale nel disegnare il mondo in cui viviamo. E il loro impatto va diventando sempre più forte, tanto da costringerci a riprendere in considerazione i bisogni fondamentali della specie e persino il concetto stesso di umanità.
L’illusione del controllo tecnologico è un elemento chiave dell’ideologia dominante nell’epoca attuale, l’Antropocene, così chiamata perché per la prima volta nella storia della Terra una sola specie – la nostra – ha il potere di sfruttare a proprio vantaggio tutte le risorse del pianeta e tutti gli organismi che lo abitano. Fino a oggi abbiamo abusato di questo potere in una misura tanto dissennata da esercitare una pressione insostenibile su tutti i sistemi viventi del pianeta, spingendo verso l’estinzione milioni di specie, compresa la nostra. Ce lo dicono ormai studi innumerevoli sulle condizioni del clima e della biodiversità terrestre ed è una consapevolezza sempre più diffusa, soprattutto tra le generazioni più giovani.
Negli ultimi decenni il campo della biologia è attraversato da una sorta di rivoluzione copernicana, destinata a portare un’inversione a 180 gradi della visione dominante fino a oggi. Da un lato nuove scoperte della genetica e dall’altro la crescente consapevolezza dell’acuirsi delle crisi ambientali stanno rovesciando la prospettiva finora seguita, spostando lo sguardo dal piccolo al grande, dai singoli organismi tra loro isolati alla rete di relazioni da cui dipende la vita di ogni essere terrestre.
La nuova biologia ha demistificato il mito del DNA che governa da monarca assoluto il destino di ogni essere, mettendo in luce l’intricata ecologia delle influenze DNA/cellula/corpo/mente/ambiente esterno.
E’ questa rete di relazioni che fa di ogni essere quello che è, momento per momento. E la fine definitiva del “dogma centrale della biologia molecolare” e della visione gerarchica del predominio dei geni è arrivata con la scoperta dell’epigenetica, ovvero del fatto che i geni sono sì la fondamentale dotazione di base di un organismo, come i tasti di un pianoforte, ma la musica suonata cambia al cambiare delle condizioni presenti nell’ambiente, che è fisico e sociale.
L’ambiente è il grande pianista del DNA.
Rivelando errata la visione di un mondo fatto solo di “geni egoisti” e “DNA spazzatura”, e regolato dalla competizione e dal predominio del più forte, la nuova biologia sposta l’attenzione sulla qualità delle relazioni reciproche, sull’interdipendenza, la collaborazione, la co-evoluzione. Non può sfuggire che la nostra sopravvivenza come specie dipende solo dal rispetto di queste proprietà intrinseche alla rete dei sistemi viventi. Un organismo non è riducibile al suo DNA, come vuole il riduzionismo che circa 50 anni fa ha motivato la nascita dell’ingegneria genetica e che oggi, nonostante sia stato abbondantemente falsificato, continua a motivarne l’uso, facendosi così pilastro di astronomici profitti per le più potenti industrie del pianeta. L’organismo non è un sistema chiuso, ma reagisce a tutto quello che c’è nell’ambiente, e cambierà il suo DNA nel funzionamento e persino nella struttura se e come risulterà vantaggioso per la sua sopravvivenza e riproduzione. In questa continua reattività e incontenibile, meravigliosa creatività sta il nocciolo immutabile della vita.
Il grande biologo Stuart Kauffman nel suo libro del 2010 Reinventare il sacro sottolinea la necessità – e oggi direi l’urgenza – di recuperare un senso laico di sacralità della vita “calato profondamente nella natura”:
«Proprio a causa della creatività [dell’Universo], non sappiamo, né possiamo sapere, che cosa accadrà. (…) Viviamo la vita nel futuro verso il mistero, e la viviamo con fede e con coraggio. Questo è infatti il mandato proprio della vita. Ma dover vivere in avanti in un’incessante creatività, che in parte ci sfugge, significa che la ragione, da sola, è una guida insufficiente per vivere la vita. La ragione, perno dell’Illuminismo, è solo uno dei mezzi evoluti, pienamente umani di cui ci serviamo per vivere. E proprio la ragione ci ha infine consentito di capire l’inadeguatezza della ragione stessa. Dovremo perciò riunificare la nostra piena umanità, e concepire noi stessi come una totalità, che vive in un mondo creativo, che mai conosceremo pienamente». (p. XIX Prefazione)
E, tanto meno, mai lo domineremo pienamente. Oggi la nuova biologia fornisce potenti basi scientifiche per l’aspirazione dell’essere umano a ritrovare il proprio posto nel tessuto della vita, rispettando le altre specie e attingendo alla perpetua meraviglia del mondo.