di Daniela Conti
In occasione di Terra Madre del settembre 2022 Slow Food ha curato la pubblicazione di uno speciale della rivista MicroMega dedicato al cibo. Questo articolo appare nel sito di MicroMega+ al link https://micromegaedizioni.net/2022/09/23/nbt-e-agroecologia-modelli-a-confronto/
Agricoltura industriale e crisi globali
L’attuale modello industriale, imposto in agricoltura con la Rivoluzione Verde degli anni Sessanta, persegue il suo scopo primario – l’aumento illimitato della produttività – tramite l’uso intensivo della monocoltura e di input industriali: meccanizzazione, uso massiccio di fertilizzanti, pesticidi e sementi proprietarie. Negli ultimi due decenni, a questi strumenti si sono aggiunte tecnologie mediate da superelaboratori e biotecnologie per la modificazione genetica. In parallelo, il processo di Globalizzazione ha inserito prepotentemente l’agricoltura nel mercato globale delle commodities; ciò continua a erodere il ruolo essenziale che l’agricoltura ha per ogni popolazione: quello di fonte primaria di sussistenza, fondamento della sovranità alimentare.
Gli effetti di oltre 50 anni d’intensificazione del modello industriale sono oggi fin troppo evidenti nelle crisi planetarie che stiamo vivendo: riscaldamento globale da emissioni antropiche di gas serra, inquinamento di acque e suoli, perdita di fertilità dei suoli, grave declino della biodiversità in tutti gli ecosistemi, disuguaglianze e ingiustizia sociale crescenti.
Come denunciano Organismi internazionali collegati all’ONU – quali l’IPCC per lo studio del cambiamento climatico e l’IPBES per il monitoraggio della biodiversità – questo modello di produzione del cibo umano, con il suo corollario di deforestazione e inquinamento, è responsabile del 33% delle emissioni climalteranti (quota che arriverà al 50% nel 2050, se non si invertono le attuali tendenze) ed è la causa principale dell’estinzione in massa di specie animali e vegetali. In altre parole, stiamo perdendo la ricchezza genetica del pianeta. Inoltre, l’IPBES denuncia nel suo ultimo rapporto (1 IPBES, 2019) che più del 33% della superficie terrestre e quasi il 75% delle risorse idriche sono oggi impegnati nella produzione di colture food e non-food o nell’allevamento animale.
Le crisi attuali sono strettamente intrecciate. I cambiamenti climatici influenzano tutte le interazioni tra le piante, i parassiti e i loro nemici naturali (2 Heeb et al., 2019) con notevoli effetti sull’agricoltura. Per esempio, l’innalzamento della temperatura causa l’aumento del tasso metabolico degli insetti, che devono consumare più cibo. Si stima che ciò causerà una diminuzione del 10-25% nella produttività di riso, mais e grano per ogni grado di aumento della temperatura globale (3 Deutsch et al., 2018). L’uniformità genetica rende le varietà industriali più vulnerabili a parassiti, malattie e stress abiotici. Tale vulnerabilità è purtroppo destinata ad aggravare gli effetti negativi del riscaldamento globale a breve e a lungo termine (4 Keneni et al., 2012).
Quindi, per dare soluzione alle gravi crisi di oggi, è di cruciale importanza scegliere un modello di agricoltura capace di ristabilire l’equilibrio ecologico distrutto dall’attuale modello industriale.
NBT: promesse ed evidenze scientifiche
Molti oggi propongono, come chiave per risolvere i problemi dell’agricoltura, il miglioramento genetico mediante l’editing genomico delle piante, cioè l’identificazione e l’inserimento nel DNA vegetale di geni che conferiscono aumento della produttività, o maggiore resistenza a specifici stress biotici (infestazioni e infezioni) o abiotici (p.e. siccità). Queste tecniche di editing genomico (= correzione del genoma) sono dette anche NBT, da new breeding techniques, nuove tecniche di incrocio. E’ importante dunque capire se questi strumenti sono funzionali alla svolta ecologica di cui il pianeta ha bisogno.
L’editing genomico si basa, dal punto di vista teorico, sul paradigma genetico emerso dalle scoperte degli anni Cinquanta e Sessanta: uno specifico gene arriva a determinare un particolare carattere attraverso i processi molecolari dell’espressione genica. Negli anni Settanta, queste conoscenze portarono allo sviluppo delle tecniche d’ingegneria genetica con cui, negli anni Novanta, sono stati prodotti i primi organismi geneticamente modificati (OGM), detti transgenici in quanto portano inserite nel loro DNA sequenze di basi provenienti da specie diverse.
A partire da questi principi teorici, le tecniche attuali di editing genomico consentono di modificare la sequenza di basi nel DNA di particolari geni (vegetali o animali), mediante sistemi più sofisticati rispetto alla transgenesi dei primi OGM. Tra i sistemi molecolari applicati, il più usato dopo il 2012 (anno della sua scoperta nei batteri) è il sistema CRISPR/Cas9. Poiché esso consente di operare sul DNA di un’unica specie, chi sostiene la deregulation dei prodotti dell’editing afferma che tali prodotti, non essendo transgenici, debbano essere sottratti alle normative che regolamentano gli OGM.
Cercando di chiarire alcuni aspetti delle nbt, vediamo gli argomenti con cui si sostiene l’utilità di queste tecniche per risolvere i problemi dell’agricoltura.
Uno degli argomenti portati a favore delle NBT è la loro velocità. Tradizionalmente, la selezione di nuove varietà vegetali si basa su programmi di incroci che comportano varie generazioni di selezione, per arrivare a varietà che presentano le caratteristiche desiderate. Le tecniche tradizionali sfruttano i processi naturali di fecondazione e ricombinazione genetica e devono rispettare i tempi generativi delle piante. Con le NBT, invece, le operazioni di selezione vengono svolte su cellule in laboratorio anziché su piante in campo, con notevole risparmio di tempo.
Altra argomentazione, con cui si sostiene anche l’inutilità dei controlli pre- e post-mercato sui prodotti dell’editing, è che le mutazioni introdotte da CRISPR/Cas9 sarebbero indistinguibili da quelle prodotte dai naturali processi di mutazione genetica, fatto che deporrebbe a favore della sicurezza di questi prodotti.
Infine, ma molto importante, vi è la proclamata precisione della modifica genetica. Il sistema CRISPR/Cas9 – si afferma – consente di modificare qualunque genoma (l’intero DNA di un organismo) esattamente dove si vuole e come si vuole. CRISPR/Cas9 è in grado d’individuare nel DNA da editare la sequenza di basi (sito bersaglio) su cui si desidera intervenire. Quest’attività è svolta da un RNA controllato dalla sequenza CRISPR; l’RNA dirige poi sul bersaglio la proteina associata Cas9, che in quel sito taglia i due filamenti del DNA. Talvolta nel sito bersaglio tagliato da Cas9 viene inserita una sequenza “corretta” (editing) che porta a un prodotto proteico desiderato, differente da quello originale.
Fin qui la teoria. Vediamo adesso se queste argomentazioni risultano confermate da ciò che è emerso dalla sperimentazione, condotta in molti laboratori di tutto il mondo nei dieci anni ora trascorsi dalla scoperta di CRISPR/Cas9.
Partirò dal tema ‘precisione’, che riprenderò verso la fine. Da numerosi studi (per una iniziale rassegna vedere qui) emerge che il sistema di editing non è affatto preciso come si pretende. Molte ricerche hanno infatti trovato che l’azione di CRISPR/Cas9 non si limita, come sostiene la narrazione dei media, alla sequenza bersaglio prescelta. Piuttosto, il sistema di editing induce, oltre alle modifiche desiderate, numerose e vaste alterazioni non volute della struttura cromosomica. Questi effetti indesiderati possono verificarsi in siti diversi dal bersaglio (mutazioni off-target) (vedi, ad esempio, per le cellule umane e animali 5 Kosicki et al., 2018; 6 Skryabin et al., 2020 e per le piante 7 Qiang Zhang et al., 2018; 8 Andersson et al., 2018; 9 Hahn et al., 2019; 10 Ribeiro Arnt Sant’Ana et al., 2020). Ma esiti indesiderati possono verificarsi anche nel sito bersaglio (mutazioni on-target) (vedi, ad esempio, 11 Smits et al., 2019; 12 Leibowitz et al., 2021)
Le cause di queste mutazioni non volute sono ancora poco chiare; alcune spiegazioni le attribuiscono a micromologie di sequenza nel DNA, altre alla transitoria situazione locale della cromatina (il complesso di DNA e proteine che forma i cromosomi), ovvero al contesto molecolare, nel momento in cui Cas9 taglia il DNA. Queste mutazioni non volute – e imprevedibili – spesso consistono in estese alterazioni dei cromosomi: delezioni, duplicazioni e traslocazioni di lunghi frammenti di DNA. In altri casi, mutazioni poco estese possono comunque dare origine a proteine tronche o altrimenti anomale, dagli imprevedibili effetti allergenici o tossici, o con altre potenziali “conseguenze patogene”, come denunciano gli autori di una ricerca (già citato 5 Kosicki et al., 2018).
I vitelli senza corna, figli di bovini editati con TALEN, portano inserito nel loro DNA l’intero vettore usato per l’editing, quindi sono OGM secondo la definizione classica
Un altro tipo di alterazione indesiderata prodotta dall’editing è l’integrazione di frammenti di DNA estraneo in vari siti del genoma editato. Quando l’editing è mediato da vettori virali o batterici, tali vettori possono integrarsi – interi o frammenti – nel DNA editato. Data l’origine virale o batterica dei vettori, il loro inserirsi nel DNA dell’organismo editato fa di quest’ultimo – per definizione – un OGM transgenico. Ne è una dimostrazione eclatante il famoso caso dei vitelli nati senza corna perché figli di bovini editati con TALEN, una proteina che taglia il DNA diversa da Cas9 (13 Norris et al., 2020). Come l’analisi del loro DNA ha dimostrato, i figli dei primi bovini editati avevano ereditato, insieme al gene per l’assenza di corna, anche l’intero vettore batterico usato per l’editing, contenente geni per la resistenza agli antibiotici ed altri elementi batterici. Ciò ha indotto la Food and Drug Administration (FDA) americana ad assoggettare alla stessa regolamentazione dei nuovi farmaci e alimenti anche gli animali editati e i loro prodotti. Ma risultati simili sono stati ottenuti anche dall’editing mediante CRISPR di piante, per esempio il riso (14 Banakar et al., 2019). Già da questi risultati si può concludere che l’azione dell’editing non è affatto precisa, e molto spesso provoca effetti imprevisti non voluti.
Vediamo ora l’affermazione secondo cui le mutazioni prodotte dall’editing sarebbero indistinguibili dalle mutazioni naturali o da quelle prodotte con la mutagenesi convenzionale. Tale affermazione non è corretta: le attuali applicazioni dell’editing spesso inducono nel genoma alterazioni che per portata, profondità e velocità d’azione vanno ben oltre quelle naturali oppure indotte con metodi convenzionali.
L’editing è di frequente usato per mettere fuori uso (knock out) un particolare gene bersaglio, introducendo mutazioni che lo inattivano (con tutti i possibili effetti non voluti sopra descritti). Ma sempre più spesso l’editing con CRISPR/Cas9 viene applicato alla modifica simultanea di molti geni differenti, oppure di più copie dello stesso gene presenti nel genoma
E’ il caso, ad esempio, dell’esperimento (15 Sanchez-Leon et al., 2018) condotto per ottenere un grano a basso contenuto di glutine. L’editing simultaneo con CRISPR/Cas9 è stato applicato ai 45 geni per le proteine che stimolano la reazione allergica dei pazienti celiaci. Si sono ottenute piante mutanti contenenti meno proteine del glutine. Ogni singola pianta mutata portava fino a 35 geni modificati. Le analisi hanno poi dimostrato che CRISPR/Cas9 ha introdotto alterazioni differenti in ogni singolo sito bersaglio. Alterazioni così vaste rendono molto più probabile il verificarsi di imprevedibili effetti avversi. Limitandosi a valutare questo esperimento in base al prodotto finale, ovvero il grano con un minore contenuto in glutine, alcuni potrebbero considerarlo un successo.
Ma prima di approvare questo prodotto per il consumo umano, è necessario sottoporlo a un’accurata valutazione dei possibili rischi per la salute e per l’ambiente. La stessa EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha classificato (16 EFSA, 2021) questo lavoro come un caso di “biologia sintetica”, cioè un intervento molto profondo e complesso su un genoma. Nel parere si legge che “il numero di mutazioni indotte con questo esperimento supera di gran lunga qualsiasi modifica mai introdotta in un genoma vegetale” e che è necessaria “una strategia per identificare in ogni singolo gene il tipo di alterazione e la sua posizione, al fine di prevenire l’accumulo di qualsiasi frammento peptidico associato con la cascata infiammatoria” (cioè con possibili conseguenze patogene).
Altro esempio. Gli attuali supercomputer rendono possibile la creazione di enormi banche dati (pangenomi) con le sequenze del DNA di tutte le varietà note – coltivate o selvatiche – di una specie vegetale. Si usano questi database per individuare versioni geniche potenzialmente utili, quindi mediante l’editing con CRISPR/Cas9 si introducono nelle piante geni, ad esempio, non presenti nelle varietà attualmente coltivate perché andati perduti durante millenni di selezione. Questa possibilità è alla base degli esperimenti detti di ‘domesticazione ex novo’ delle specie per le quali è disponibile un pangenoma, come il riso, il grano e il pomodoro. Quest’editing dà tuttavia origine a combinazioni geniche nuove, perciò, in assenza di approfondite analisi sulla fisiologia dell’organismo editato e sulle sue interazioni ecologiche con le altre specie in campo, non è possibile dare per scontato che il prodotto dell’editing sia sicuro.
Un ulteriore, nuovo, rischio deriva dal fatto che il sistema CRISPR/Cas9 può agire, o avere effetti indesiderati, anche su quelle regioni del genoma che i naturali meccanismi cellulari di riparazione del DNA (fondamentali per l’editing) tendono a proteggere dalle mutazioni. Queste regioni cromatiniche a bassa ricombinabilità sono per lo più inaccessibili alle tecniche di mutagenesi convenzionali; sbloccarle con l’editing (17 Taagen et al., 2020) comporta dei rischi. Uno studio (18 Monroe et al., 2020) ha trovato che le differenze di ricombinabilità fra le regioni del genoma sono essenziali nell’indirizzare l’evoluzione della pianta. Queste nuove potenzialità dell’editing sono una chiara dimostrazione della non equivalenza tra le mutazioni naturali e quelle indotte da CRISPR/Cas9 – e un ulteriore, forte, richiamo alla cautela.
Campo sperimentale di Camelina sativa
Come già detto, i possibili effetti dell’editing sulla fisiologia dell’organismo e sulle sue interazioni ecologiche sono aspetti molto importanti, ma purtroppo poco indagati dalle NBT. Ne sono un esempio gli esperimenti condotti per modificare la composizione in acidi grassi della soia e della Camelina sativa. Si volevano ottenere varietà con un contenuto minore di acidi grassi polinsaturi (linoleico e linolenico) e maggiore di acido oleico. L’olio di questa soia doveva conservarsi più a lungo ed essere più stabile durante la frittura (19 Demorest et al., 2016). L’olio della camelina editata doveva essere più efficiente nella produzione di biocarburanti (20 Morineau et al., 2017). Questa varietà di soia – ottenuta cumulando nella stessa pianta transgenesi + editing con TALEN – è stata il primo prodotto dell’editing approvato per la commercializzazione negli USA.
In entrambi gli esperimenti i prodotti finali mostrano le qualità desiderate, atte a soddisfare le esigenze industriali. Tuttavia in entrambi i casi manca una valutazione dei possibili effetti dell’editing sul metabolismo della pianta e, di conseguenza, sul suo comportamento ecologico. Per esempio, non si è indagato su eventuali alterazioni nella biosintesi di fitormoni o di composti volatili, essenziali per la comunicazione intra- e inter-specifica e per i meccanismi di difesa delle piante. Tali composti, che permettono alle piante di rispondere ai cambiamenti e agli stress ambientali, ad esempio alle infestazioni di parassiti, sono sintetizzati a partire dall’acido linolenico, proprio l’acido di cui è stato ridotto il contenuto in queste piante. E’ quindi possibile che le varietà editate siano più vulnerabili agli attacchi degli insetti nocivi, alle malattie e agli stress abiotici.
A quanto riporta un interessante articolo (21 Kawall K., 2021), studi recenti hanno trovato in api mellifere tenute a una dieta carente di omega 3 (derivanti dall’acido linolenico) una riduzione delle dimensioni del cervello e delle capacità di orientamento. Per gli animali l’acido linolenico, precursore di molte biomolecole, è un acido essenziale: poiché non sono in grado di produrlo, l’unica fonte è la dieta. Alterare l’equilibrio di questi acidi grassi nelle reti alimentari può quindi avere gravi effetti ecologici negativi. Inoltre non va dimenticato che le piante editate, come la soia e la camelina, possono ibridarsi con parenti selvatici, o altre piante affini. Essendo destinate a coprire grandi estensioni di terreno, le varietà editate possono propagarsi con facilità, diffondendo negli ecosistemi geni potenzialmente nocivi. Sono gli stessi problemi già ampiamente riscontrati in campo con gli OGM transgenici (per approfondimenti sugli effetti nocivi degli OGM transgenici, vedere qui).
La valutazione dei rischi delle piante editate non può prescindere dal valutarne il possibile impatto sugli ecosistemi: le interferenze con la comunicazione fra piante e animali, le influenze sui microbiomi nel terreno, gli eventuali effetti negativi sugli insetti in particolare sugli impollinatori.
Infine occorre considerare l’argomento della ‘velocità’ delle NBT. Come evidenziano tutti i lavori sopra citati, è certamente poco sicuro cercare di ottenere in fretta il prodotto finale desiderato, trascurando di valutare se le inedite combinazioni di alterazioni prodotte dall’editing comportino effetti negativi. Ciò significa studiare per molte generazioni – in laboratorio e in campo – la fisiologia e il comportamento dell’organismo editato (22 Biswas et al., 2020).
Pesce zebra (Danio rerio)
Uno sguardo d’insieme agli esperimenti di editing delle piante rivela che solo una minoranza di queste ricerche ha eseguito analisi per scoprire eventuali effetti non voluti on- e off-target, le loro cause e le possibili conseguenze avverse. Tali effetti sono invece ricercati con attenzione nelle applicazioni cliniche dell’editing genomico, quindi negli esperimenti su cellule umane e su animali. I rapporti di esiti negativi in questo tipo di sperimentazione sono molto più frequenti e numerosi che nei lavori su piante, oltre ad essere altamente informativi sull’azione del sistema CRISPR/Cas9. Credo perciò opportuno citare un paio di questi lavori, recenti e molto rilevanti.
Applicando CRISPR/Cas9 in vivo su uova fecondate di pesce zebra, il primo lavoro (23 Höijer et al., 2022) ha trovato che le larve e gli adulti da esse derivati mostravano anomalie cromosomiche, poi trasmesse alla progenie. Gli autori così concludono: “Infine, rispetto alla eventuale manipolazione di embrioni umani, il nostro studio aggiunge ulteriori argomenti in favore della cautela”.
Di estremo interesse è poi il lavoro (già citato 12 Leibowitz et al., 2021) condotto da prestigiosi istituti di ricerca ad Harvard. Il titolo è: “Chromothripsis as an on-target consequence of CRISPR-Cas9 genome editing” (La cromotripsi quale conseguenza on-target dell’editing genomico con CRISPR-Cas9). Cromotripsi è un termine derivato dal greco, e significa letteralmente “fare a pezzi i cromosomi”.
In quest’esperimento è emerso per la prima volta che “l’editing con CRISPR-Cas9 genera difetti strutturali … che avviano un processo di mutazione chiamato cromotripsi. La cromotripsi … può causare malattie congenite e cancro. Questi risultati dimostrano che la cromotripsi è un effetto on-target finora non rilevato, prodotto dalle doppie rotture nel DNA bersaglio generate da CRISPR-Cas9”. E ancora: “E’ importante capire gli effetti genotossici associati con l’editing genomico a scopo terapeutico mediante CRISPR-Cas9. Mentre si è prestata molta attenzione agli effetti ‘off-target’ non voluti, si sa molto meno sulle potenziali conseguenze dannose derivanti dalle doppie rotture on-target prodotte dall’editing. Tali rotture del DNA on-target possono indurre tumori”.
Le anomalie cromosomiche causate dall’editing si trasmettevano dalle cellule madri alle figlie, e da queste alle nipoti.
L’editing con CRISPR/Cas9 innesca il fenomeno della cromotripsi, che significa “fare a pezzi i cromosomi”
Considerazioni finali sulle NBT
Riassumendo, dai risultati scientifici appare chiaro che l’editing genomico mediante il sistema CRISPR/Cas9 è ancora una tecnica sperimentale e con molti punti oscuri. Numerose ricerche su piante e animali – di particolare rilevanza lo studio di Harvard su cellule umane che ha portato a scoprire la cromotripsi (cromosomi fatti a pezzi) come conseguenza non voluta dell’editing – dimostrano che CRISPR/Cas9 causa anomalie cromosomiche e che queste sono trasmesse alle generazioni successive. Le cause di tali alterazioni restano in gran parte da chiarire. Tuttavia, dagli studi emerge che l’azione con cui Cas9 taglia il DNA non è affatto netta e precisa come quella di una ‘forbicina’ o di un ‘bisturi’ molecolare, piuttosto è influenzata da molte e imprevedibili variabili locali nei siti di taglio, e ha conseguenze ché si ripercuotono sull’intero genoma. Nuovi sistemi di editing, sviluppati a partire da CRISPR proprio per i limiti riconosciuti del sistema attuale, sono ancora in fase sperimentale e occorre attendere i futuri risultati.
La proteina Cas9 avvolge il DNA e ne taglia i due filamenti. Immagine di Thomas Splettstoesser da www.scistyle.com . Copyright Creative Commons
La velocità, con cui spesso si cerca di arrivare all’immissione sul mercato di prodotti dell’editing che soddisfano esigenze commerciali, non porta alcun vantaggio, anzi aumenta i rischi. Accelerare il processo di selezione non consente d’individuare le eventuali alterazioni nocive né lascia ai meccanismi naturali tempo sufficiente per eliminarle.
Quanto poi all’intensità della mutagenesi indotta dall’editing, numerosi esperimenti hanno dimostrato che non esiste una “soglia”, al di sotto della quale l’entità della modifica genetica indotta possa essere considerata sicura, anche senza inserire DNA d’altre specie. Ogni nuova combinazione di alterazioni è una possibile fonte di nuovi rischi che devono essere accertati caso per caso, come sottolineano vari istituti per la tutela dell’ambiente, tra cui l’italiano ISPRA (24 Kawall K., 2021; 25 Eckerstorfer et al., 2021). La profondità delle alterazioni indotte da CRISPR/Cas9 non è assolutamente equiparabile a quella provocata dalle tecniche precedenti. Nessuno dei prodotti dell’editing può essere dato a priori per sicuro, quindi esentato dalle regolamentazioni in vigore nell’UE per gli organismi geneticamente modificati. Perché questo sono gli organismi editati, e lo sono in virtù di tecniche molto distanti dalla mutazione naturale o dalla mutagenesi convenzionale.
Infine, ma importante, vi è un altro aspetto da considerare, che riguarda i principi teorici su cui si fondano le tecniche di editing genomico fin qui applicate. Gli imprevisti effetti negativi dell’editing confermano l’insufficienza del paradigma genetico classico, che considera l’organismo come il prodotto unicamente dei geni scritti nelle sequenze di basi del suo DNA. I geni, presupposti come gli unici determinanti delle caratteristiche dell’organismo, sono trattati alla stregua di agenti isolati e autonomi dal contesto del genoma e dall’ambiente in cui l’organismo vive. Ma il presupposto isolamento dei geni e del DNA è stato dimostrato falso dalle ricerche degli ultimi decenni e dalle recenti scoperte dell’epigenetica. Oggi sappiamo che il DNA è un sistema dinamico di reti epi/genetiche, che funzionano in modo adattativo e reversibile in risposta alle condizioni e agli stimoli ambientali. E sappiamo che un organismo è un sistema aperto e interattivo, frutto – momento per momento – dell’equilibrio che si crea fra le interazioni, da un lato, di tutti i suoi elementi genetici (DNA + RNA + proteine) collegati in reti complesse e, dall’altro, di tutti i fattori ambientali a cui l’organismo è esposto. Il concetto di miglioramento genetico basato unicamente sul modificare la sequenza di basi nel DNA si rivela quindi riduttivo e del tutto insufficiente a tenere il passo con questa complessità.
L’epigenetica è l’insieme dei processi che modificano il funzionamento fisiologico e adattativo dei geni tramite cambiamenti nella struttura della cromatina, senza modificare la sequenza dl basi nel DNA. L’epigenetica è fondamentale nel mediare l’adattamento dell’organismo all’ambiente. (Per ulteriori informazioni vedere qui)
Occorre inoltre considerare che, al di là delle insufficienze teoriche e pratiche sopra descritte, le NBT sono in perfetta linea con l’attuale modello industriale di agricoltura, che – abbiamo visto – è fra i principali responsabili delle crisi attuali. In primo luogo, le NBT producono varietà geneticamente uniformi, come tutte le varietà industriali; ciò non può che aggravare la riduzione dell’agrobiodiversità (26 Ceccarelli e Grando. 2020). In secondo luogo, le piante e i semi prodotti dalle NBT aumentano i costi per gli agricoltori, e ne accentuano la dipendenza da input tecnologici e sementi proprietarie, cioè aggravano la dipendenza dai grandi gruppi agrochimici. Infine, ma fondamentale, sementi che dovranno essere ricomprate geneticamente uguali di anno in anno non possono portare a piante adattate ai futuri, mutevoli e imprevedibili cambiamenti nei luoghi in cui cresceranno. Come molte ricerche evidenziano da tempo (p.e il già citato 26 Ceccarelli e Grando, 2020; e 27 Signe White et al., 2020), la migliore difesa sia contro i patogeni sia contro gli effetti molteplici del riscaldamento globale – quindi l’unica vera garanzia di produttività a lungo termine – sta nella diversità genetica delle colture, in generale nella biodiversità degli ecosistemi.
Campagna olandese coltivata in base ai principi dell’agroecologia. (Tratta da qui)
E’ necessario passare a un modello agroecologico
In conclusione, è necessario convertire l’agricoltura a un modello agroecologico, che si fonda sul rispetto per gli equilibri ecosistemici, l’autonomia e i saperi dei contadini e delle loro comunità. Strumento fondamentale – e di cui disponiamo in abbondanza – per frenare l’erosione genetica sono le varietà locali, con tutta la loro ricchezza in geni per la resistenza a stress e malattie. Queste varietà sono il frutto dell’interazione fra l’adattamento delle piante alle specifiche condizioni ambientali in cui crescono e i criteri di selezione adottati dal coltivatore, i quali rispecchiano le esigenze e le scelte della sua comunità. Le varietà locali sono perciò la massima espressione delle differenze tra luoghi e tra culture, e di conseguenza la massima espressione di biodiversità.
Fondamentale per la cura della biodiversità è quindi valorizzare le sementi contadine. Favorire il recupero di vecchie varietà, creare miscugli e popolazioni evolutive, autoprodurre e scambiare le sementi, stimolare la selezione partecipativa, sono tutti strumenti in grado di sostenere nuove comunità della terra, capaci di far fiorire la biodiversità e aprire al pianeta prospettive di futuro.
Copyright: European Wilderness Society
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