Chiaro di Luna.
LA VITA SULLA TERRA: GLI ULTIMI 500 MILIONI DI ANNI
di Daniela Conti
L’esplosione del Cambriano
All’inizio del periodo Cambriano (540- 485 milioni di anni fa) – così chiamato dal nome latino del Galles, dove sono state scoperte rocce di quel periodo – o forse ancora prima, i cambiamenti nelle condizioni geofisiche della Terra favorirono la comparsa di forme di vita pluricellulari molto più complesse delle precedenti. Il fenomeno avvenne con tanta rapidità rispetto alle epoche precedenti, e la diversificazione degli organismi fu tale, che si parla di esplosione del Cambriano. In quel periodo apparvero i primi esemplari dei principali gruppi (phyla) di animali esistenti ancora oggi.
Le acque chiare, poco profonde e relativamente calde sopra le nuove piattaforme continentali, videro un fiorire di forme le più varie, affascinanti e bizzarre. Alcuni di questi nuovi terrestri navigavano, come le meduse con i loro ombrelli pulsanti, o come gli ctenofori, sorta di sacchetti luminescenti, adorni di ciuffi, tentacoli e pettini. Altri, posati sul fondo, si espandevano come le spugne, o si rinchiudevano, proteggendo il corpo molle tra due valve incernierate e spesse, prototipo delle conchiglie.
Altri ancora camminavano sul fondo, come i trilobiti, il corpo piatto, affusolato, diviso in segmenti forniti di coppie simmetriche di appendici mobili, tattili, prensili. Oramai estinti da centinaia di milioni di anni, i trilobiti sono i più antichi Artropodi conosciuti. Da loro discendono tutti i crostacei, i ragni e gli insetti di oggi.
Fossile di trilobite, ritrovato in giacimenti dello Utah. Fonte qui.
I mari del Cambriano videro nuotare anche i primi animali dotati di una struttura portante interna, antesignana della colonna vertebrale. Simili ad anguille, privi di mascelle (e perciò chiamati Agnati), forniti di forte muscolatura e di branchie, sono riconosciuti come gli antenati dei pesci. E non solo: attraverso i pesci, sono l’origine della radiazione (ovvero dell’albero filogenetico estremamente ramificato) ché ha portato a tutti i vertebrati terrestri, dagli anfibi a noi.
Acheronauta stimulapis forse uno dei primi mandibolati, dotato di appendici e di carapace nella zona cefalica. Fonte qui.
La radiazione cambriana degli animali complessi aveva radici antiche. Essa implicava che, nelle centinaia di millenni precedenti, si fossero forgiate e poi selezionate capacità per nulla semplici, quali processi sempre più sofisticati di specializzazione cellulare, e di collaborazione e comunicazione fra cellule. Negli animali del Cambriano si affermano, e vengono espresse con la meravigliosa creatività propria dell’evoluzione universale, due tipi fondamentali di innovazioni: tessuti e organi – p.e. muscoli, branchie e intestino – molto specializzati per morfologia e funzione, coordinati per via chimica dagli ormoni e per via elettrica dalle prime, semplici, reti nervose di neuroni.
Fondo di un antico mare a nord della Cina durante il periodo Cambriano. Disegno di Dinghua Yang. Fonte qui.
La vita emerge sulla terraferma
La terraferma, lambita dagli oceani pullulanti di vita, doveva apparire una spoglia distesa di nuda roccia da un capo all’altro dei continenti, priva com’era di vegetazione. Per molto tempo l’unica forma di vita sulla sua superficie fu, fino a scarsa distanza dall’acqua, una sottile crosta microbica, composta di batteri, alghe e funghi unicellulari. Quel biofilm di pionieri attraeva fuori dall’acqua le creature marine che abitavano le zone intertidali, spingendole ad avventurarsi sulle terre emerse in cerca di cibo. Il bagnasciuga e le rive dei corsi d’acqua interni furono la culla della successiva tappa fondamentale dell’evoluzione, che vide la vita uscire dall’acqua per estendersi sulle terre.
I primi organismi terrestri furono i licheni. Fonte qui.
Ancor prima del Cambriano, circa 600 milioni di anni fa, eventi di simbiosi tra alghe e funghi microscopici nel sottile strato microbico ai confini delle acque diedero origine ai licheni, i primi organismi davvero terrestri.
Più tardi – 470 milioni di anni fa – alghe pluricellulari iniziarono ad adattarsi all’ambiente delle terre emerse. All’inizio la nuova vita terrestre fu poco più di un basso tappeto verde, mai troppo distante dall’acqua, necessaria anche per la riproduzione delle neopiantine.
Alghe colonizzarono le terre. Fonte qui.
Quel tappeto si rivelò una grande risorsa anche per gli animali. Passeranno altri 50 milioni di anni, e dai primi esploratori acquatici inizieranno a svilupparsi artropodi adattati alla superficie terrestre, gli antenati degli attuali millepiedi, ragni e insetti.
Nel frattempo, l’evoluzione delle piante portò alla comparsa di nuove strutture e molecole – come le radici, le foglie e gli apparati vascolari di lignina – che consentivano l’assorbimento e il trasporto dell’acqua verso l’alto. Le piante poterono sollevarsi dal suolo e slanciarsi in alto verso la luce. La terra si ricoprì di foreste e la coevoluzione degli animali diede origine a ecosistemi sempre più complessi.
Intorno a 360 milioni di anni fa, dall’acqua uscirono e iniziarono a svilupparsi anche le prime forme di vertebrati anfibi, dotati di branchie e polmoni. Dagli anfibi si sviluppò, nel corso di centinaia di millenni, l’intera radiazione dei vertebrati terrestri.
Gli antenati degli anfibi vivevano tra acqua e terra.
Evolvendo dagli anfibi, i rettili comparvero circa 300 milioni di anni fa, in un mondo caldo-umido con foreste di felci arboree, equiseti giganti e prime conifere. Il clima caldo consentì a questi animali a sangue freddo di raggiungere anche dimensioni gigantesche, come in alcune specie di dinosauri.
I primi mammiferi avevano piccole dimensioni e corpo simile ai topi.
Da antenati rettiliani apparvero, circa 250 milioni di anni fa, i primi protomammiferi, che ancora condividevano coi rettili molti caratteri. I primi mammiferi in grado di partorire i piccoli, anziché deporre uova, risalgono a circa 215 milioni di anni fa.
Nel mondo distante da noi circa 200 milioni di anni, dai rettili iniziarono a divergere anche le linee evolutive che portarono agli uccelli.
Fiore di ninfea. Autore A. Laporte. Fonte qui
Circa 125-100 milioni di anni fa, fecero la loro comparsa piante portatrici di una grande innovazione: il seme racchiuso entro involucri protettivi, come gusci e frutti. Dette Angiosperme per via di tale proprietà, queste piante inventarono anche i fiori e la mirabile coevoluzione con gli insetti impollinatori, ancora oggi insostituibili artefici della biodiversità terrestre.
Eucalipto in fiore. Autore W. Bulach. Fonte qui.
L’epoca dei grandi rettili ebbe termine circa 65 milioni di anni fa con un evento catastrofico: un asteroide del diametro di 10 chilometri impattò la Terra a velocità folle. Ancora ne rimangono notevoli tracce nel cratere di Chicxulub dello Yucatan, e nei depositi di fossili lasciati dall’enorme onda di tsunami che ne seguì. L’impatto liberò un’energia pari a migliaia di atomiche di Hiroshima. L’atmosfera s’incendiò e detriti ardenti piovvero su gran parte della Terra appiccando incendi. La nube fu così spessa da oscurare il sole per molto tempo, e ovunque si estese la sua coltre imperversò un freddo inverno nucleare che uccise piante e animali. Secondo una teoria largamente accettata, i grandi sauri a sangue freddo non sopportarono i rigori di quel clima e si estinsero.
Autore Don Davis/NASA. Fonte qui.
Ma rappresentanti di tutti i regni e i phyla allora esistenti riuscirono a sopravvivere alla catastrofe, e col tempo ripopolarono la Terra. I dinosauri avevano dominato per decine di milioni di anni tutti gli ecosistemi del pianeta con forme erbivore e carnivore, acquatiche, volatili e terrestri. Nel mondo nuovo post-asteroide, altri gruppi ebbero la possibilità di occupare nicchie ecologiche sino ad allora appannaggio dei grandi sauri.
La radiazione dei mammiferi: illustrazione in un testo di biologia del 1938.
La più grande novità fu l’enorme sviluppo della radiazione dei mammiferi. Piccoli animali a sangue caldo, simili a topi, riuscirono a sopravvivere all’inverno nucleare che portò i loro predatori all’estinzione. Per molti millenni i mammiferi si moltiplicarono e diversificarono, adattandosi a sempre nuovi habitat in tutti i continenti. Comparvero così molti nuovi ordini, come tutti gli erbivori e i carnivori, i chirotteri (pipistrelli), i cetacei e i primati. Quest’ultimo è l’ordine a cui appartengono tutte le scimmie, comprese quelle antropomorfe dalle quali è derivata la linea evolutiva che ha portato al genere Homo. Oggi le scimmie antropomorfe (gibbone, gorilla, orango, scimpanzé e bonobo) vengono attribuite alla famiglia degli Ominidi. I resti della più antica antenata degli Ominidi sono stati ritrovati in Egitto, e risalgono a circa 33 milioni di anni fa.
La radiazione dei mammiferi: rappresentazione dell’albero filogenetico.
L’emergere di Homo sapiens
Circa 6 milioni di anni fa, dal gruppo degli Ominidi, più precisamente dalla linea evolutiva degli scimpanzé e dei bonobo, iniziò a divergere il ramo – o meglio, secondo una visione più recente, il cespuglio – degli Ominini, che in milioni di anni portò all’evoluzione del genere Homo. I primi caratteri “umani” ad evolvere furono la stazione eretta e l’andatura bipede. Rispetto agli altri caratteri, i primi Ominini erano ancora molto simili alle scimmie, ad esempio il loro cervello aveva un volume (360 cm3) ancora molto vicino a quello dello scimpanzé. Probabilmente l’adattamento al difficile ambiente della savana ebbe un’importanza cruciale nell’evoluzione del bipedismo. Tuttavia, per vari milioni di anni, gli Ominini continuarono ad avere caratteristiche miste, per quanto riguarda le ossa degli arti e la dentatura, legate a uno stile di vita sia terrestre che arboricolo. Per esempio l’Australopithecus – un Ominino vissuto in Africa da 4 a 2 milioni di anni fa – poteva camminare eretto, ma aveva ancora dita delle mani e dei piedi lunghe e un po’ ricurve. Probabilmente, vivendo in ambienti di foresta mista a savana, usava regolarmente gli alberi per nutrirsi e per trovare scampo dai predatori.
Il prevalere della postura eretta lasciò libere le mani che, non più impegnate nella locomozione e nell’afferrare i rami degli alberi, svilupparono capacità sempre più sofisticate inizialmente nel maneggiare strumenti di pietra, in seguito anche nel produrli.
Homo habilis Specie estinta del genere Homo, viveva nell’Africa orientale e meridionale tra 2,3 e 1,5 milioni di anni fa. Ricostruzione: Dbachmann (photograph), E. Daynes (sculpture) (CC BY-SA)
Si fa risalire la comparsa del genere Homo agli Ominini che per primi furono in grado di produrre utensili in pietra. Il più antico membro del genere Homo è stato individuato in H. habilis, un Ominino vissuto 2,3-1,4 milioni di anni fa. I suoi resti fossili sono stati ritrovati nella gola di Olduvai, in Africa orientale, associati a ossa di animali con segni di macellazione e a semplici strumenti di pietra.
Benché restino molte incertezze riguardo all’inizio dell’uso controllato del fuoco, sembra che anche questa fondamentale innovazione tecnologica vada attribuita alle prime specie del genere Homo. I primi esseri umani impararono a usare il fuoco per forgiare strumenti, nutrirsi e difendersi dalle fiere. Il fuoco fu il primo grande mezzo che dava all’uomo il potere di modificare il suo ambiente. Ma non solo: era un potere che lo distingueva – e forse, nella sua percezione, già lo separava – da tutti gli altri animali. Nelle tenebre assolute e insidiose di quelle notti antiche, il cerchio luminoso del fuoco era il segno certo della presenza umana.
Per centinaia di migliaia di anni l’evoluzione fisio-morfologica continuò a modificare i caratteri del genere Homo, portando a una forma tondeggiante del cranio, a modifiche nello scheletro, nei muscoli e nella dentatura, in parallelo con i cambiamenti di habitat ecologici e di abitudini della specie. L’aumento di dimensioni del cervello e la presa di precisione delle mani, senz’altro collegata da un feed-back positivo con la crescente complessità cerebrale, divennero i tratti morfologici distintivi del genere Homo.
Strettamente intrecciata a queste caratteristiche, e fattore essenziale per il loro sviluppo, fu la contemporanea evoluzione culturale, legata all’organizzazione sociale in gruppi cooperativi. Attività come quelle di caccia e raccolta e l’allevamento dei piccoli che richiedevano la partecipazione e la collaborazione di tutti i membri del gruppo, probabilmente favorirono l’evoluzione del linguaggio e l’emergere della cultura, come insieme di conoscenze e credenze condivise dall’intero gruppo.
Homo naledi Specie estinta del genere Homo. I suoi resti fossili furono rinvenuti nel 2013 in una caverna del Sudafrica. I resti datano tra 335.000 e 236.000 anni fa. Autore Cicero Moraes (Arc-Team) et al. Fonte qui.
La specie Homo sapiens comparve in Africa orientale circa 200 000 anni fa, quindi si diffuse in Medio Oriente, in Europa e nel resto del mondo, con varie ondate migratorie a partire da 100 000 anni fa. I Sapiens non furono gli unici rappresentanti della specie umana e nel loro diffondersi al di fuori dell’Africa incontrarono altri umani, come i Neanderthal e i Denisovani, discendenti da Ominini migrati dall’Africa in epoche più antiche. Che cosa successe in quei close encounters, e perché i Sapiens abbiano finito per prevalere, resta ancora uno dei misteri più affascinanti della storia umana. E tuttavia i confronti tra DNA oggi ci dicono che queste altre specie umane non sono scomparse del tutto: parte della loro eredità genetica resta nel nostro DNA di esseri umani moderni.
Circa 11 000 anni fa, la domesticazione di piante e animali e il prevalere dell’agricoltura sedentaria accrebbero la disponibilità di cibo. Le eccedenze alimentari favorirono il sorgere delle città, la suddivisione del lavoro e lo stabilirsi delle classi sociali. A queste nuove forme di organizzazione si accompagnarono, circa 5000 anni fa, la nascita delle società moderne e l’invenzione della scrittura.
Il resto è storia, fino all’Antropocene; ma di questo parlerò più avanti.
Il cespuglio dell’evoluzione umana. Varie specie di Sapiens sono coesistite per lunghi periodi. Ancora oggi restano loro tracce nel nostro DNA. Fonte qui.
Il racconto dell’evoluzione della vita sulla Terra – Una prospettiva olistica
Se, nel considerare l’evoluzione della vita sulla Terra, ci volgiamo dalle profondità del tempo al piano del presente, il panorama cambia nettamente. Dalla successione delle forme di vita nell’ordine dalla più semplice alla più complessa, si passa al quadro realistico della vita nel suo divenire attuale: il caotico intrico di miriadi di esseri interagenti fra loro e ognuno con l’ambiente. L’equilibrio della natura – comunque variabile e mai fisso – che emerge da questo caos vitale è frutto unicamente delle leggi dell’interazione che milioni di anni d’evoluzione hanno sedimentato nei viventi a tutti i livelli, dal molecolare all’ecologico.
Sulla grande scala temporale il racconto dell’evoluzione ci appare lineare solo perché lo leggiamo da quella che è, per noi, la tappa finale: Homo sapiens. Ma limitarsi a questa prospettiva è rischioso: i fallimenti, “i rami secchi”, le regressioni non vengono evidenziati. Il percorso di emersione di una crescente complessità del vivente, avvenuto lungo la dimensione verticale del tempo, può allora essere frainteso, come fosse l’attuarsi verticale di una gerarchia valoriale, un’ascesa dal meno valido al migliore, culminante magari nell’Homo Deus del transumanesimo.
In realtà alla base dell’evoluzione vi è un processo orizzontale continuo, incessante. La sua specifica dimensione temporale è il “qui e ora”, poiché ogni interazione, ogni relazione, ha un significato e un valore evolutivi. Qualsiasi cambiamento che interviene in un punto della rete vivente si riverbera su tutta la rete, e ogni nodo – p.e. ogni organismo – risponde con un peculiare modo di adattarsi, che è il risultato dell’interazione fra il suo intero sistema (genetico e non) e l’insieme delle influenze ambientali. Tale risultato a sua volta influenzerà sia l’ambiente sia gli altri nodi della rete, e così via, finché c’è vita.
Possiamo paragonare le due diverse prospettive, verticale e orizzontale, dell’evoluzione alla differenza che intercorre tra la storia umana e la cronaca. Nella grande dimensione temporale, vediamo la storia umana come una successione di tappe, caratterizzate dal nascere e dallo scomparire di differenti culture che, al pari di altrettante specie, hanno animato il pianeta. Ma il processo storico ha la sua origine nell’interagire quotidiano, di cui si sostanzia la cronaca del presente. Dai piccoli, o grandi, eventi e aggiustamenti del quotidiano si sedimentano i cambiamenti che nel tempo porteranno a nuove tappe, o a svolte, della storia umana.
Nell’intreccio delle relazioni in atto, entro i limiti definiti dalle condizioni dell’ambiente inteso nel senso più lato, l’evoluzione della vita emerge in quanto co-evoluzione. Il percorso evolutivo delle specie (a partire dalle specie molecolari) non è quindi prevedibile né controllabile, perché è il risultato della selezione naturale su biforcazioni, fallimenti, regressioni, mutamenti e innovazioni di ogni genere, e dipende dall’interazione di innumerevoli fattori, tra cui quelli genetici pesano quanto il caso.
La biologia odierna chiarisce come qualsiasi azione/esperienza di un organismo modifica l’ambiente a tutti comune e, insieme, influenza l’intero funzionamento del singolo individuo fino al suo sistema genetico, DNA compreso. In ogni momento avvengono trilioni x trilioni di interazioni x trilioni di esseri, appartenenti al macro- e al microcosmo. Sull’enorme scala temporale dell’età della Terra, il risultato può indubbiamente apparire grandioso, ma non dobbiamo perdere di vista che il motore sta nella piccola scala del quotidiano fare, trasmutare e convivere.
Timeline dell’evoluzione della vita sulla Terra. Fonte qui.