L’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE Italia) ha pubblicato nella rivista Il Cesalpino n. 58 questo mio articolo. L’Associazione è nata nel 1989 da un gruppo di medici italiani consapevoli che per garantire la salute di ciascuno, i medici devono occuparsi anche della salute dell’ambiente in cui viviamo, sia come medici che come abitanti della terra. Il PDF dell’intero n. 58 de Il Cesalpino è scaricabile a questo link: https://www.omceoar.it/archivio-edizioni-pdf
di Daniela Conti
SOMMARIO
Le prove che l’espressione genica è regolata da mutazioni epigenetiche, e che campi bioelettrici controllano la morfogenesi del corpo, oggi impongono alle Scienze della Vita un epocale cambio di paradigma. Nel dare attuazione al programma inscritto nelle sue sequenze, il DNA NON è autonomo dalle influenze esterne, come sostiene il dominante paradigma DNA-centrico. Poiché la vita è interazione coevolutiva, e poiché l’ambiente dirige l’orchestra dei geni e i campi morfogenetici, salvaguardare gli equilibri ecologici diventa il cardine per costruire il futuro. La prevenzione garantisce la salute, non solo umana. Le nuove, solide conoscenze scientifiche ci inducono a uno storico mutamento culturale nel nostro modo di sentire e di costruire il mondo.
Parole chiave: paradigma DNA-centrico, paradigma epigenetico. segnali bioelettrici morfogenetici, sviluppo, adattamento all’ambiente.
Nell’anno 1953, James Watson e Francis Crick sconvolsero il mondo scientifico con l’ipotesi della struttura a doppia elica del DNA. La Genetica del tempo si fondava sui modelli di incrocio e selezione che l’avevano caratterizzata fin dalle origini mendeliane, portandola in circa un secolo a essere una scienza di punta. Dopo che dieci anni prima il DNA era stato identificato come la sostanza che compone i geni, quindi il veicolo della trasmissione ereditaria dei caratteri fenotipici, alcuni gruppi di ricerca – come il Cavendish Laboratory di Cambridge, cui afferivano Watson e Crick – si erano concentrati sulle proprietà chimico-fisiche della molecola del DNA. Con l’ipotesi della doppia elica ebbe inizio un’epoca nuova, l’epoca della genetica molecolare (Per un breve sunto dello sviluppo storico della Genetica vedere qui).
La Genetica del paradigma DNA-centrico
Per tutti gli anni ’50 e ’60 fu un susseguirsi di grandi scoperte, dalla decifrazione del codice genetico alla definizione dei processi dell’espressione genica. L’approccio molecolare culminò nei primi anni ’70 con la nascita dell’ingegneria genetica: si potevano costruire DNA ricombinanti unendo sequenze di specie diverse. Questi successi e, non ultima, l’antica pulsione al controllo umano sul mondo naturale – antica forse quanto il fuoco – diedero straordinario impulso alla genetica molecolare. La genetica formale, o classica, con i suoi pazienti incroci – ma anche il suo costante sforzo di quantificare l’influenza dell’ambiente sul fenotipo – fu relegata a un ruolo secondario, con minori finanziamenti e poca o nulla attenzione mediatica (leggi, possibilità di influenza culturale).
Nel 1980, l’introduzione del brevetto sulle sequenze di DNA non fece che aggravare l’impostazione riduzionista e determinista della giovane disciplina. Sulla spinta dei profitti derivanti dal brevetto dei geni, la Genetica acquisì due caratteri che ancora mantiene: una forte impronta applicativa, e l’orientamento a soddisfare le esigenze commerciali dei suoi finanziatori e, in generale, i valori del Mercato.
Fino ai primi anni del Duemila, la Genetica fu dominata dal Dogma Centrale proposto da Crick: il flusso dell’informazione genetica procede in un’unica direzione, dal DNA all’RNA alle proteine (= fenotipo), e mai nella direzione opposta. Secondo il paradigma gene-centrico, il DNA – “signore assoluto del mondo vivente” (l’immagine è di Barry Commoner, padre dell’ecologismo moderno, ne Il mito del DNA, visibile qui ) – funziona in modo autonomo, isolato dalle influenze esterne. Le sequenze geniche determinano rigidamente, attraverso le sequenze peptidiche corrispondenti, i caratteri fenotipici di ogni organismo. Nel pensiero riduzionista, tutto ciò che un essere umano è, è scritto fin da principio nei suoi geni, dal colore dei capelli, all’intelligenza, al comportamento criminale.
L’atteggiamento dogmatico, acritico, largamente dominante portò ad attribuire importanza soltanto alle sequenze codificanti proteine. Il resto del DNA – solo il 98,5 % della molecola – era classificato “junk DNA”, “DNA spazzatura”.
Il Dogma Centrale, e il ‘dogma collaterale’ che postulava la corrispondenza univoca tra una data sequenza nucleotidica e la catena peptidica da essa codificata, hanno dominato la Genetica fino al 2000. Quell’anno, i primi risultati del Progetto Genoma Umano diedero lo scossone definitivo alla certezza della corrispondenza univoca tra gene e catena polipeptidica. Le avvisaglie del crollo si erano già avute verso la metà degli anni ’80 con la scoperta dello splicing alternativo, che rivelava un’insospettata flessibilità dell’espressione genica. Quella volta l’edificio delle certezze dogmatiche sul DNA aveva assorbito il colpo senza una vera messa in discussione dei presupposti teorici. Ma dopo i risultati del Progetto Genoma, ovvero dopo le prove che il numero dei geni era un terzo di quello atteso in base al numero delle proteine, la flessibilità del DNA e della sua regolazione divenne un dato certo.
Di qui prese le mosse nel 2003 il Progetto ENCODE, tuttora in corso. ENCODE si propone di scandagliare quel 98,5 % del DNA fatto di sequenze non codificanti proteine, al fine d’individuare nel DNA tutti gli elementi funzionali. Finora, oltre l’80% della molecola ha rivelato una funzione regolativa, e la ricerca prosegue. Molte di queste sequenze, un tempo ritenute inutile junk, danno origine a RNA non codificanti, fra cui microRNA, che formano un’essenziale rete – epigenetica – regolativa delle funzioni del DNA.
Dopo il 2000 si sono accumulate prove innumerevoli del fatto che “anche l’ambiente influenza i livelli di espressione genica” (da Soto A., Longo G., Noble E. eds, 2016. From the century of the genome to the century of the organism. vedi qui). Queste scoperte continuano ad alimentare la sempre più fiorente disciplina dell’Epigenetica.
Dalla doppia elica del DNA ai cromosomi di cromatina
La Genetica del paradigma epigenetico
Il termine epigenetica fu introdotto negli anni ’40 dall’embriologo e genetista inglese Conrad Waddington. Lavorando su drosofila con i metodi della genetica formale, Waddington dimostrò che la notevole plasticità fenotipica durante lo sviluppo è influenzata anche da interazioni fra i geni e tra geni e stimoli ambientali.
L’enfasi sulla genetica molecolare ha poi oscurato per decenni le idee di Waddington. Alla genetica gene-centrica rimase tuttavia aperto l’enorme problema di spiegare 1) come le divisioni mitotiche di un’unica cellula-uovo fecondata, lo zigote, possano dare origine a centinaia di tipi cellulari differenti per forma e funzione, pur essendo dotati dello stesso DNA. E 2) spiegare come un organismo può adattarsi rapidamente ai cambiamenti del proprio ambiente, posto che, come prevede il neodarwinismo, ciò avvenga per selezione naturale unicamente di mutazioni casuali nella sequenza del DNA.
Differenziamento cellulare
Tutti i 252 tipi cellulari del corpo umano derivano da un’unica cellula, lo zigote, cioè l’uovo fecondato, quindi i trilioni di cellule che ci compongono hanno tutte lo stesso DNA. Eppure da cellule staminali totipotenti e con uguale DNA derivano tutti i differenti tipi cellulari. Come? Grazie alla differente regolazione del funzionamento del DNA in ciascun tipo di cellula. Ovvero, grazie a influenze EPIGENETICHE. (Tratta da Wikipedia Commons, Haileyfournier – Own work)
Negli ultimi due decenni, gli sviluppi tecnici nelle scienze -omiche (genomica, metabolomica, proteomica, ecc…) hanno consentito l’analisi simultanea di molte sequenze geniche dello stesso organismo. Applicati alle ricerche epigenetiche, questi metodi hanno definitivamente provato il ruolo cruciale dell’ambiente nel regolare, attraverso mutazioni epigenetiche, lo sviluppo, l’adattamento e in generale il normale funzionamento degli organismi.
Con l’Epigenetica l’attenzione si sposta dalla sequenza nucleotidica del DNA alla cromatina e ai processi biochimici che la modellano (metilazione di citosine, acetilazione degli istoni, microRNA) detti “mutazioni epigenetiche”. La cromatina – la complessa struttura composta da DNA e proteine (istoni) – è infatti soggetta a continui cambiamenti adattativi tramite le mutazioni epigenetiche, che la modellano in risposta agli stimoli dell’ambiente intra- e/o extra-cellulare (che a sua volta media gli stimoli esterni).
Grazie alle mutazioni epigenetiche, i geni funzionano in certi momenti, o in certe cellule, e in altri/e no. Emerge uno scenario caratterizzato dall’incessante dinamismo di un complesso ‘sistema epi/genetico’, costituito dal DNA, da molte specie di RNA e da proteine. Questi elementi generano una fitta rete interattiva, che media tra influenze ambientali e risposte adattative dell’organismo. La flessibilità epigenetica non dipende dalle sequenze nucleotidiche del DNA, che restano invariate; ciò che cambia è la struttura tridimensionale del sistema epi/genetico.
La cromatina
Nelle cellule il DNA è avvolto attorno a “rocchetti” di proteine dette istoni, formando fitte spire di cromatina (= DNA + proteine), Perché il DNA funzioni, le spire si rilassano nelle regioni che devono essere attive. Le regioni di cromatina addensata restano silenti. La regolazione di questo continuo rimodellamento della cromatina è epigenetica, e dipende da segnali che arrivano dall’ambiente intra ed extra cellulare. (Tratta da MBINFO Defining Mechanobiology)
Le mutazioni epigenetiche possiedono una proprietà unica: sono al tempo stesso reversibili ed ereditabili. Durante lo sviluppo ontogenetico e il normale ricambio tissutale, cellule con lo stesso DNA si differenziano in base ad effetti di posizione, processi interattivi e stimoli ambientali, che danno origine al quadro epigenetico specifico per il funzionamento di ogni tipo cellulare: solo i geni necessari vengono espressi, gli altri sono ‘silenziati’. Ad ogni mitosi, gli specifici quadri epigenetici sono trasmessi alle cellule figlie. Quindi la stabilità dei differenziamenti cellulari sull’intero arco dell’esistenza di un organismo si spiega con l’ereditabilità dei quadri epigenetici.
Dunque il sistema epi/genetico regola il normale funzionamento di un organismo. Per converso, quadri epigenetici alterati si associano a gravi patologie. Ad esempio, numerosi studi (Vedi, ad esempio. Ling C. e Rönn T., Epigenetics in Human Obesity and Type 2 Diabetes. Cell Metabol., Vol. 29, Issue 5, 2019, Pages 1028-1044. Visibile in: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1550413119301378) hanno trovato che il diabete di tipo 2 e l’obesità sono caratterizzati da quadri di metilazione alterati in molti geni di molti tessuti (vedi Figura).
Il diabete di tipo 2 è associato a una metilazione differenziale del DNA nei tessuti umani
La figura illustra i tessuti e i geni con alterazioni osservate nella metilazione del DNA nei soggetti con diabete di tipo 2 rispetto ai controlli non diabetici. Alcuni di questi geni mostrano anche un’espressione genica differenziale ed è stato dimostrato che influenzano funzionalmente i fenotipi legati al diabete, come la secrezione di insulina. La metilazione del DNA dei geni indicati nel sangue è stata associata al rischio futuro di diabete di tipo 2. (Figura 2 dell’articolo sopta citato: Ling C. e Rönn T., Epigenetics in Human Obesity and Type 2 Diabetes. Cell Metabol., Vol. 29, Issue 5, 2019.)
Questi studi hanno trovato che i fattori ‘interni’ come la predisposizione genetica e l’invecchiamento sono importanti nella genesi di diabete e obesità, quanto lo sono le alterazioni dei quadri di metilazione indotte da fattori ‘esterni’ collegati agli stili di vita, come l’esercizio fisico e la dieta. La reversibilità delle mutazioni epigenetiche apre nuove possibilità di prevenzione e di terapia, incentrate sui fattori patogenetici ambientali.
Nuove prospettive sulla genesi di molte patologie emergono incrociando studi epigenetici e dati epidemiologici. Negli ultimi decenni si sta infatti verificando un vertiginoso aumento di condizioni come le malattie immuno-allergiche, infiammatorie, metaboliche, cronico-degenerative, neurodegenerative, neoplastiche e del neurosviluppo (Panisi C., Guerini F,R., Abruzzo M. A., et al., Autism Spectrum Disorder from the Womb to Adulthood: Suggestions for a Paradigm Shift. J Pers Med. 2021 Feb; 11(2): 70. Visibile qui). La velocità e l’estensione globale del fenomeno portano a escludere un’origine solamente genetica e a individuare negli inquinanti ambientali fattori eziologici importanti, tramite gli effetti di alterazioni epigenetiche. Per esempio, numerosi studi hanno trovato in molti geni e tessuti alterazioni della metilazione in seguito all’esposizione a pesticidi (vedi Yu, G., Su, Q., Chen, Y. et al. Epigenetics in neurodegenerative disorders induced by pesticides. Genes and Environ 43, 55 (2021). qui). Inoltre, l’esposizione a pesticidi già nell’utero materno provoca mutazioni epigenetiche che possono alterare il neurosviluppo durante i primi 1000 giorni di vita, con gravi conseguenze che possono svilupparsi dopo la nascita, anche nella vita adulta (p.e., disturbi dello spettro autistico) (vedi p.e. Linnér A., Almgren M. Epigenetic programming-The important first 1000 days. Acta Paediatr. 2020;109:443–452, qui. Rossignol D.A., Genuis S.J., Frye R.E. Environmental toxicants and autism spectrum disorders: A systematic review. Transl. Psychiatry. 2014;4:e360, qui).
Paradigmi futuri?
Dalle ricerche epigenetiche emerge dunque una nuova visione del DNA, ma oggi anch’essa si rivela parziale. Ricerche di frontiera evidenziano nuovi codici di natura bioelettrica, che nulla hanno a che vedere con il DNA, ma guidano lo sviluppo morfogenetico dei corpi.
Guardare un video (p.e. qui https://www.youtube.com/watch?v=XheAMrS8Q1c) sugli esperimenti di Michael Levin, biologo alla Tufts University, è un’esperienza abbastanza sconvolgente, soprattutto per gli esperimenti su planarie. Le planarie sono vermi piatti lunghi circa 2 cm, dotati di notevoli proprietà rigenerative. Tagliando una planaria in due, si formano due vermi completi, come se ciascun troncone sapesse cosa manca, e lo ricostruisce. Il video mostra planarie vitali composte di due code o di due teste. Tagliando via la seconda testa, si ottengono sempre vermi a due teste, non importa quante volte la si taglia. Lo schema è però reversibile, e la planaria può essere indotta a rigenerare la forma normale.
Levin non ha ottenuto questi risultati modificando la sequenza del DNA, ma alterando i segnali elettrici tra le cellule del verme. Modificando questo pattern bioelettrico, Levin ha alterato la “memoria” dell’organismo su come costruire il corpo. Nel suo articolo su Cell (vedi Levin M., Bioelectric signaling: Reprogrammable circuits underlying embryogenesis, regeneration, and cancer. Cell. 2021 Apr 15;184(8):1971-1989, https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0092867421002233), Levin spiega: “Queste reti bioelettriche [costituite da potenziali di membrana generati dai canali ionici e dalle giunzioni gap presenti in tutti i tessuti] elaborano informazioni morfogenetiche che controllano l’espressione genica, consentendo ai collettivi cellulari di prendere decisioni di larga scala sulla crescita e sulla forma … I collettivi cellulari cooperano per ottenere un ordine strutturale a livello di organo”.
E’ affascinante pensare a quali enigmatici paesaggi si aprono. Al di sopra dei codici bioelettrici, bisognerà spiegare il ‘linguaggio’ con cui interi collettivi cellulari si coordinano e ‘il processo decisionale’ con cui concordano le rispettive attività (epigenetiche) – e i relativi limiti – per dare forma al corpo.
Considerazioni finali
Le Scienze della Vita oggi si confrontano con un epocale cambio di paradigma. Nel nuovo scenario, il DNA non detiene TUTTA l’informazione necessaria allo sviluppo e alla vita di un organismo; invece, nuova informazione SI GENERA di continuo nell’interazione del DNA con gli altri elementi del sistema epi/genetico e con tutti i fattori ambientali (vedi [1] Cecconi E., La rivincita dell’epigenetica. Gen 24, 2016, qui). L’organismo non si limita a eseguire istruzioni predeterminate, piuttosto ha un ruolo attivo nel dare attuazione al programma del DNA, attraverso le sue relazioni con l’ambiente nel senso più lato, anche sociale.
Il paradigma DNA-centrico rivela la sua persistenza anche nell’attuale concetto di “miglioramento genetico” fondato sulla modificazione della sequenza nucleotidica del DNA, concetto che ancora pervade tanta scienza accademica. La dottrina secondo cui come umani abbiamo il potere – e il diritto – di cercare d’indirizzare secondo i nostri fini (= il meglio) l’evoluzione di tutti i viventi resta uno dei pilastri culturali, ideologici, dell’Antropocene – con tutte le conseguenze devastanti che vediamo.
Ma proprio le recenti scoperte ci aprono un’occasione storica. Che mancheremo, se non vedremo che le nuove conoscenze ci offrono qualcosa di ancora più importante di un cambio di paradigma scientifico, più importante anche della possibilità di sviluppare nuove, efficaci terapie. C’è infatti il rischio che questa – di fatto – transizione culturale venga limitata agli aspetti applicativi. Cioè, corriamo il rischio di non vedere che le nuove conoscenze ci inducono a un radicale mutamento nel nostro modo di sentire e di costruire il mondo. Poiché siamo immersi in un incessante movimento coevolutivo, e poiché l’ambiente dirige l’orchestra dei geni e pilota i campi morfogenetici, allora salvaguardare gli equilibri ecologici diventa il principio cardine per impostare la costruzione del futuro – sarebbe meglio dire, per ridarci una prospettiva di futuro.
La prevenzione si conferma cruciale per qualsiasi discorso serio sulla salute, non solo umana. La vita sul pianeta evolve in un perenne divenire creativo. Momento per momento, dal caotico intrico di miriadi di esseri – dal micto- al macrocosmo – interagenti fra loro e con l’ambiente emerge un equilibrio, peraltro mai fisso. Questo equilibrio è frutto unicamente delle leggi di relazione che molti milioni di anni d’evoluzione e selezione naturale hanno sedimentato nei viventi a tutti i livelli, dal molecolare all’ecologico. Proprio perché frutto di questo caos vitale, il percorso evolutivo delle specie non è né prevedibile né controllabile, se non vogliamo causare danni spesso irreversibili. Siamo chiamati ad accettare che la nostra specie sia solo una inter pares e a comportarci finalmente da sapiens, consapevoli che il rispetto dei nostri pares oggi è per noi più che mai vitale.
Tigre di Sumatra
(Da Anton Leddin https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Tiger_Melbourne.JPG)