Covid-19

BRUTTE SORPRESE  INCROCIANDO I DATI SULLA GRAVITA’ DELL’INFEZIONE DA COVID-19 E SULL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO DA PARTICOLATO E OSSIDI DI AZOTO

di Daniela Conti

 

L’Europa in quarantena

L’abbiamo visto tutti il cielo della quarantena sopra le nostre città padane, azzurro e trasparente come di rado, o forse mai, lo avevamo veduto. Tutti abbiamo sentito l’intensità nuova dei profumi da giardini e prati coperti di fiori come non mai. Girare per le strade cittadine – purtroppo vuote di gente – era finalmente una gioia per il naso. Cinquanta giorni d’aria pulita ci hanno fatto toccare – anzi, respirare – la soglia che separa la nostra “normalità” dal vero benessere, fisico e non solo.

In questo momento in cui il nostro sistema che non ammette pause deve riprendere a funzionare a pieno ritmo, pena il precipitare di costi economici e guasti sociali altrettanto gravi di quelli causati dal virus, è necessario che tutti riflettiamo sui mali del nostro modello di vita messi così chiaramente in luce dal Covid-19. È necessario rielaborare questa esperienza dolorosa per iniziare a costruire un futuro in cui benessere delle persone e del pianeta siano – come di fatto sono – la stessa cosa. Lavoriamo perché questo principio diventi il cardine della società prossima ventura.

La normalità di prima: L’impatto dell’inquinamento atmosferico

Da decenni sappiamo di essere un ‘popolo inquinato’, ma guardare i numeri ‘crudi’ fa davvero impressione.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità,  l’aria inquinata causa ogni anno la morte prematura di circa 7 milioni di persone in tutto il mondo (3 milioni per l’inquinamento negli ambienti chiusi e 4 per l’inquinamento all’aperto).

L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA, European EnvIronment Agency)  ha stimato in oltre mezzo milione di morti premature all’anno l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute nei paesi UE. Il rapporto EEA del 2019 sulla qualità dell’aria (scaricabile qui)  riporta il numero, stimato in base ai dati del periodo 2015-2017, delle morti premature causate nei diversi paesi europei dai tre principali inquinanti atmosferici: polveri sottili, biossido di azoto (NO2) e ozono (O3) a livello del suolo.

L’Italia ha il triste primato di guidare questa classifica europea. E’ infatti al primo posto sia per numero totale delle morti da inquinamento dell’aria, sia per numero dei decessi dovuti ai tre singoli inquinanti: un totale di oltre 80.000 morti premature all’anno, di cui circa 60.000 causate dal particolato, circa 22.000 dal biossido di azoto e più di 3.000 dall’ozono.

Seguono la Germania con 72.000 morti complessive (di cui 60mila, 10mila e 2mila rispettivamente per PM2,5, NO2 e O3), la Francia con circa 53.000 morti (43mila, 8mila e 1.500), il Regno Unito con circa 53.000 morti (38mila, 14mila e 1.000), la Spagna con oltre 33.000 morti (26mila, 6mila e 2mila). Poi vengono tutti gli altri paesi europei, con le sole esclusioni di Estonia, Finlandia e Norvegia, in cui non sono stati superati i limiti fissati dall’UE.

In Italia il luogo più inquinato è la pianura Padana, dove la concentrazione di popolazione, industrie e traffico veicolare porta a un grave accumulo di emissioni tossiche nell’aria. La specifica conformazione geografica della pianura del Po (chiusa dalle Alpi a nord e a ovest, dagli Appennini a sud, e a est affacciata sul fondo chiuso del mare Adriatico) tende a impedire la dispersione degli inquinanti tossici, dato lo scarso ricambio d’aria sia in senso orizzontale che verticale.

I tre principali inquinanti atmosferici…

Le polveri sottili, dette anche particolato (PM, da particulate matter), sono costituite da particelle microscopiche, con diametro che scende da 10 micron (PM10) a 2,5 micron (PM2,5) o ancora inferiore; in pratica, sono particelle 30 volte più piccole del diametro di un capello.

Il particolato si forma dall’uso dei combustibili fossili – le reazioni che avvengono nei motori dei veicoli, nei fumi degli impianti civili e industriali – ma anche dalla reazione dei gas dell’aria con l’ammoniaca liberata dallo spandimento dei liquami prodotti dagli allevamenti intensivi (imperdibile a questo riguardo la puntata di Report “Siamo nella ca…”, andata in onda il 13/04/20 su RAI3). 

La composizione del particolato è complessa, e comprende anche metalli, solfati e nitrati. Le polveri, mescolandosi a microgocce liquide, alle sostanze chimiche e ai gas, formano il cosiddetto “aerosol” ovvero l’aria che respiriamo.

Livelli annuali PM25 in Europa

colori mappa

Figura 1  Concentrazioni annuali di PM2,5 in Europa
Le ultime due categorie di punti rossi indicano le stazioni che nel 2017 rilevarono concentrazioni medie di PM2,5 superiori al limite fissato dalla UE (valore medio annuale 25 μg/m3).
Fonte: EEA, Air quality in Europe – 2019 report

 

Dalla mappa del rapporto EEA, basata sui dati del 2017, si vede bene che gli sforamenti del limite annuale fissato dalla UE per il PM2,5 si sono concentrati in sette stati: Italia (soprattutto nella pianura Padana), Germania (soprattutto in Baviera, Nord-Reno Westfalia, Baden-Württemberg), Belgio, Olanda, Gran Bretagna (max in Inghilterra), Francia e Spagna (intorno a Madrid e a Barcellona).

 

inquinamento giornaliero da PM10 in Europa

Figura 2 Concentrazioni giornaliere di PM10 osservate nel 2017     Le ultime due categorie di punti rossi indicano le stazioni che nel 2017 rilevarono con maggior frequenza concentrazioni giornaliere di PM10 superiori al limite (50 μg/m3) consentito dalle direttive UE, in base alle quali sono ammessi solo 35 sforamenti della soglia in un anno. Fonte: EEA, Air quality in Europe – 2019 report

codici colori mappa

 

L’ozono (O3) è un gas presente soprattutto nella stratosfera (la fascia di atmosfera compresa tra i 10 e i 50 km di altezza), dove protegge il pianeta dalle radiazioni UV e in questo modo rende possibile la vita sulla Terra. Ma nella troposfera (la fascia fra il suolo e 10 km di altezza) l’ozono è un gas molto tossico per tutti gli esseri viventi. Si forma a seguito di reazioni chimiche tra gli ossidi di azoto e i prodotti dei processi di combustione civili e industriali. La sua formazione è facilitata dalle alte temperature e dalle condizioni di irraggiamento estive. E’ molto dannoso sia per la salute umana che per piante e animali.

codice colore mappa NO2 UE

 

Il biossido d’azoto (NO2) è un gas tossico che si forma per ossidazione dell’azoto (N) dell’aria. Come per il particolato, la principale fonte degli ossidi di azoto (NOX) sono tutti i processi di combustione ad alta temperatura (impianti di riscaldamento, motori dei veicoli, impianti industriali, centrali elettriche, inceneritori, ecc).

NO2 in UE nel 2017

Figura 3 Superamenti dei limiti UE per il biossido di azoto nel 2017. Fonte: EEA, Air quality in Europe – 2019 report.

 

e i loro effetti sulla salute

Il particolato PM10 può irritare le vie aeree, raggiungere i polmoni e accumularsi negli alveoli con grave danno per la funzionalità respiratoria. Il PM2,5 con le sue dimensioni ultraridotte può attraversare la parete degli alveoli e dei vasi, penetrare nel circolo sanguigno e andare a danneggiare molti tessuti e organi.

È provato da almeno vent’anni che l’esposizione a questi inquinanti produce danni gravi, in particolare all’apparato respiratorio e cardiovascolare, causando asma, cancro ai polmoni e malattie cardiocircolatorie, tra cui ischemie e ictus.

Ma non solo: attraverso l’infiammazione cronica delle vie aeree e delle pareti dei vasi, e inoltre la loro azione di potenti ossidanti intracellulari, questi composti possono causare sia danni sistemici, come problemi renali e diabete. sia danni genetici. Possono inoltre facilitare processi degenerativi, come lo sviluppo dell’Alzheimer e dell’aterosclerosi.

***

Nei mesi di quarantena sono apparsi online vari studi sulla relazione tra inquinamento e incidenza dell’infezione da Covid-19. Poiché gli articoli che ho reperito riguardano il particolato e il biossido di azoto, mi limiterò a considerare questi due inquinanti.

 

Alcuni studi sulle relazioni tra particolato e Covid-19

 Degli articoli che hanno preso in esame le relazioni tra inquinamento da particolato e incidenza del Covid-19, tre riguardano l’Italia, uno l’Olanda e un altro gli Stati Uniti.

Partendo dalla osservazione che le regioni italiane con il maggior numero di casi di Covbid-19 (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna) sono quelle più spesso e più gravemente soggette all’inquinamento da polveri sottili, due dei lavori italiani si sono proposti esplicitamente di valutare se il particolato potesse fungere da carrier, cioè da trasportatore del virus, e ne accelerasse la diffusione.

Uno dei lavori, prodotto dalla SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) e opera di ricercatori delle Università di Bologna e di Bari (vedi qui ), ha preso in esame gli sforamenti del PM10 rispetto al limite giornaliero fissato dalla UE (50 µg/m3) tra il 10 e il 29 febbraio in tre regioni del Nord (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna) e tre del Centro-Sud (Lazio, Campania, Puglia). Si è poi analizzata la correlazione statistica tra questi dati e il numero dei casi confermati (tampone positivo) di Covid-19 nelle stesse regioni, nei giorni di marzo successivi al supposto periodo di incubazione. Avendo riscontrato una significativa correlazione positiva, gli autori assumono il risultato come una prima evidenza che il particolato possa fungere da carrier del virus. Tuttavia rilevano che la conferma di questa ipotesi di lavoro necessita di ulteriori, approfonditi studi, e di numerose altre prove.

L’altro lavoro (vedi qui) che si è proposto di verificare l’ipotesi del particolato-carrier è di Elza Bontempi, docente presso l’Università di Brescia e ricercatrice INSTM (Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali). In questo studio sono stati considerati gli sforamenti del limite giornaliero del PM10 fra il 10 febbraio e il 10 marzo nelle province della Lombardia e del Piemonte, e si è analizzata la relazione con il numero di casi confermati nelle stesse province fino al 27 marzo.

Non avendo ottenuto valori di correlazione significativi, l’autrice afferma:  “I risultati dimostrano che non è possibile concludere che il meccanismo di diffusione di Covid-19 avvenga anche attraverso l’aria, tramite il PM10 come carrier”. Quindi, nonostante l’impostazione molto simile, questi due lavori italiani sull’ipotesi del particolato-carrier arrivano a conclusioni contrastanti. L’ipotesi resta dunque non provata, e in attesa di ulteriori verifiche. Da notare che gli autori di entrambi questi studi sottolineano che occorre chiarire l’importanza dell’inquinamento come fattore che interagisce con l’infezione virale.

 

Il terzo lavoro italiano è di Mario Coccia, attivo presso il CNR e l’Università di Yale (vedi qui ). Di nuovo l’analisi è incentrata sul PM10, ma l’impostazione è completamente diversa dagli studi sopra citati. Qui l’autore è interessato a valutare se l’esposizione cronica alle polveri sottili può avere influito sull’incidenza dell’infezione da Covid-19.

Per l’elaborazione statistica Coccia ha preso in esame 55 capoluoghi di provincia italiani, tenendo conto di numerose variabili: posizione geografica delle città (Nord o Centro-Sud, interne o costiere), densità di popolazione, valori di temperatura, velocità del vento, precipitazioni e umidità nel periodo febbraio-marzo 2020. Le misure del PM10 sono consistite nei valori rilevati nelle 55 città durante l’anno 2018. Si è quindi studiata la correlazione fra tutti questi dati e il numero di casi confermati di Covid-19, rilevati nei 55 capoluoghi tra marzo e aprile 2020.

Un importante risultato di questo lavoro è che il numero di casi confermati di Covid-19 mostra una correlazione alta e significativa con l’inquinamento nelle città che nel 2018 avevano avuto più di 100 giorni di superamento dei limiti fissati per il PM10, situate in zone dell’entroterra e con bassa velocità media del vento (che è un importante fattore di dispersione degli inquinanti).

Nella fase iniziale di diffusione del virus, la correlazione tra numero degli sforamenti dei limiti per il particolato e numero dei casi positivi è molto alta e significativa, più alta della correlazione fra il numero di casi e la densità di popolazione. Tale differenza si riduce di grandezza nella fase successiva della diffusione del virus; questo risultato può indicare che, nella fase iniziale, gli effetti cronici sulla salute dovuti alla passata esposizione alle polveri sottili sono più importanti della densità di popolazione nel facilitare la rapida diffusione del virus.

 

correlazione lavoro Coccia

Stima della correlazione tra il numero dei casi di Covid-19 e i giorni di superamento dei limiti UE per il particolato PM10 in 55 capoluoghi italiani. La linea tratteggiata che arriva al riquadro indica il limite degli sforamenti ammessi dalle direttive UE. Fonte: Coccia, Mario, Diffusion of COVID-19 Outbreaks: The Interaction between Air Pollution-to-Human and Human-to-Human Transmission Dynamics in Hinterland Regions with Cold Weather and Low Average Wind Speed (April 3, 2020). Working Paper CocciaLab n. 48/2020, CNR – National Research Council of Italy, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3567841 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3567841

 

In base ai coefficienti ottenuti con l’elaborazione statistica dei dati risulta che, nelle città con meno di 100 giorni l’anno di sforamento dei limiti per il PM10, a ogni incremento dell’1% nella densità di popolazione corrisponde un aumento dello 0,30% circa nel numero di casi attesi di Covid-19. Nelle città con più di 100 giorni l’anno di superamento del limite per il PM10, un incremento dell’1% nella densità of popolazione corrisponde a un aumento nel numero di casi attesi di circa 1,43%! Anche questo risultato pare confermare l’influenza dell’esposizione cronica alle polveri sottili come fattore che facilita l’infezione virale.

Per chiudere la serie dei lavori europei sulle possibili relazioni tra esposizione al particolato e infezione da SARS-Cov-2, si può menzionare uno studio svolto in Olanda (vedi qui), nell’ambito di un programma sostenuto dalla Banca Mondiale. Lo studio, che ha analizzato i dati sul particolato e l’incidenza del Covid-19 in 355 municipalità olandesi, ha trovato che l’esposizione cronica ad alti livelli di PM2,5 permette di prevedere con notevole affidabilità l’incremento nel numero di casi di Covid-19.

Uscendo dall’Europa, molto interessante è il lavoro (vedi qui), svolto alla School of Public Health dell’Università di Harvard da un gruppo guidato dalla ricercatrice italiana Francesca Dominici.

In base al dato emerso da un precedente lavoro di questo stesso gruppo, e cioè che l’esposizione cronica al PM2.5 aumenta il rischio di mortalità in generale e in particolare da malattie dell’apparato respiratorio e cardiovascolare, questi ricercatori si sono proposti di verificare se l’esposizione cronica alle polveri sottili sia collegata a una maggiore gravità dell’infezione da Covid-19 e a una prognosi peggiore.

 Per questa analisi sono state prese in considerazione le medie mensili del PM2.5 nell’arco temporale 2000-2016, su una fitta griglia di punti di rilevazione che abbraccia l’intera superficie continentale degli Stati Uniti. I dati relativi alla mortalità da Covid-19 fino al 22 aprile 2020 erano quelli ufficiali raccolti dalla Johns Hopkins University e riguardanti 3087 contee americane, corrispondenti al 98% della popolazione.

Incidenza Covid negli USA

Figura 4  Incidenza di Covid-19 negli USA al 12/06/20. Fonte: Centers for Disease Control and Prevention.legenda colori mappa Covid USA

Le mappe della distribuzione spaziale del Covid-19 negli USA rivelavano un maggiore numero di casi nelle regioni centrali della costa atlantica, in quelle settentrionali della fascia centrale, e intorno al Golfo del Messico. Questa distribuzione era esattamente sovrapponibile con le aree a maggiore densità di popolazione e più alti livelli di inquinamento da PM2,5.

La sofisticata elaborazione statistica dei dati (che ha tenuto conto anche di numerosi fattori socio-economici e sanitari) dimostra che l’esposizione cronica ad alti livelli di PM2,5 è strettamente correlata con i tassi di mortalità da Covid-19, cioè comporta vulnerabilità agli esiti più gravi della malattia. I ricercatori hanno trovato che a un aumento di 1 µg/m3 nel livello del particolato corrisponde un aumento del tasso di mortalità da Covid-19 dell’8%, un valore altamente significativo.

Gli autori suggeriscono che la relazione tra esposizione cronica al particolato e mortalità da Covbid-19 sia dovuta alla infiammazione cronica e ai danni cellulari causati dalle polveri sottili.

 

Studi sulle relazioni tra biossido di azoto e Covid-19

In aprile nel sito della Agenzia Spaziale Europea (ESA; vedi qui) sono state pubblicate due mappe che mettevano a confronto le concentrazioni medie europee di biossido di azoto (NO2) in due periodi: 13 marzo–13 aprile 2020 e marzo-aprile 2019. Il commento dell’ESA: “In coincidenza con le misure di lockdown messe in atto in tutta Europa, si è avuta a Madrid, Milano e Roma una diminuzione [dell’NO2] del 45%, mentre a Parigi vi è stata una drastica caduta del 54%”.

confronto NO2 anno scorso e oggi

Figura 5 Inquinamento da NO2 sull’Europa nella primavera 2019 e durante il lockdown. Fonte: ESA.

Basta un’occhiata superficiale a queste mappe per notare la straordinaria coincidenza tra “zone rosse” della diffusione virale nel presente e zone di più grave inquinamento da NO2 nel passato. Qui descriverò un paio di studi che hanno indagato se tale coincidenza possa derivare da una reale influenza dell’NO2 sull’incidenza e la gravità della malattia virale.

L’11 di aprile è apparso online il lavoro (vedi qui) di Yaron Ogen, ricercatore presso un’università tedesca, che ha incrociato tre tipi di dati:

1) La concentrazione di NO2 nella troposfera (da terra fino a 10 km di altezza) espressa in μmol/m2 e rilevata dal satellite del programma europeo Copernicus nel periodo gennaio-febbraio 2020.

2) Le misure del flusso d’aria verticale, che definisce la capacità atmosferica di disperdere gli inquinanti, rilevate nello stesso periodo.

3) Il numero dei decessi da Covid-19 dichiarati dalle fonti ufficiali relativamente a 66 regioni amministrative di 4 stati europei: Italia, Spagna, Francia e Germania.

Fino alla pubblicazione dell’articolo, risultavano a livello mondiale 209.839 casi confermati di Covid-19 e 8.788 decessi, di cui 4.443 nei quattro paesi europei considerati dall’autore. Di questi, l’83% (3.701) era avvenuto in regioni in cui la concentrazione massima di NO2 nel mese precedente la pandemia aveva superato 100 μmol/m2.. Importante era anche l’associazione tra alti valori di NO2 e gli indici di scarsa circolazione atmosferica.

Nelle conclusioni l’autore afferma che i risultati evidenziano una chiara correlazione tra alti livelli di NO2 e gravità dell’infezione virale. Ogen sostiene, inoltre, la necessita d’indagare ulteriormente sulla possibile connessione tra l’incidenza dell’infezione da Covid-19 e lo stato d’infiammazione e di ipercitochinemia indotto dalla lunga esposizione ad alti livelli di NO2.

                                                      ***

Potremmo, tanto per curiosità e ovviamente senza alcuna pretesa di scientificità, cercare di ‘attualizzare’ il quadro esaminato da Ogen in una fase molto precoce della pandemia, e vedere se, dopo mesi di diffusione del Covid-19, le regioni europee più colpite dall’infezione continuino ad essere le stesse per le quali lo studio tedesco aveva trovato una relazione tra Covid-19 e pregressa esposizione all’NO2.

Italia al 24/06/20

Totale casi confermati

239.000

Totale morti

34.675

confermati

morti

Lombardia

93.173

16.581

Piemonte

31.266

4.059

Emilia-Romagna

28.260

4.236

Veneto

19.250

1.994

Toscana

10.217

1.100

seguono le altre regioni secondo il numero decrescente dei casi.  (dati tratti da Covid-19 alert) 

A tutt’oggi le regioni padane, che nella mappa ESA apparivano le più inquinate da NO2, continuano a essere le regioni italiane con la più alta incidenza di casi confermati e di decessi da Covid-19.

 

Germania al 24/06/20

Totale casi confermati

193.000

Totale morti

8.986

confermati

morti

Bavaria

47.894

2.571

North Rhine-Westphalia

41.418

1.665

Baden-Württemberg

35.365

1.826

Lower Saxony

13.312

619

Hesse

10.613

501

Berlin

7.916

211

seguono gli altri Lander secondo il numero decrescente dei casi   (dati tratti da Covid-19 alert) 

A tutt’oggi i Lander tedeschi che nella mappa ESA apparivano i più inquinati da NO2 continuano a mostrare la più alta incidenza di casi confermati e di decessi da Covid-19. E’ interessante notare i bassi numeri del Covid-19 a Berlino, che ha la più alta densità di popolazione di tutta la Germania, ma bassi livelli di inquinamento da biossido di azoto.

 

Spagna al 24/06)20

Totale casi confermati

247.000

Totale morti

28.325

confermati

morti

Community of Madrid

71.223

8.416

Catalonia

60.645

5.666

Castile and León

19.499

2.777

seguono le altre regioni secondo il numero decrescente dei casi (dati tratti da Covid-19 alert) 

A tutt’oggi le regioni di Madrid e di Barcellona, che nella mappa ESA apparivano le più gravemente inquinate da NO2, continuano ad avere l’incidenza più alta di casi confermati e di decessi da Covid-19.

Per la Francia non ho trovato dati che permettano di conoscere l’incidenza attuale del Covid-19 nelle diverse regioni.

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Poiché il prossimo lavoro da esaminare riguarda specificamente l’Inghilterra, può essere interessante quale introduzione dare uno sguardo a che cosa è successo nel Regno Unito, benché i dati sui decessi siano molto incompleti.

A

Regno Unito al 24/06/20

Totale casi confermati

306.000

Totale morti

42.927

confermati

morti

England

159.000

non disponibile

(London

27.354

6.079)

Scotland

15.515

2.486

Wales

14.704

non disponibile

Northern Ireland

4.713

(dati tratti da Covid-19 alert) 

A tutt’oggi l’Inghilterra, che nella mappa ESA appariva gravemente inquinata da NO2, continua ad avere l’incidenza di casi confermati di Covid-19 di gran lunga più alta in tutto il Regno Unito.

Proprio all’Inghilterra si riferisce un interessante lavoro (vedi qui; la prima versione è apparsa online in aprile, seguita poi da vari aggiornamenti), svolto da un gruppo di ricerca dell’Università di Cambridge a cui partecipa un ricercatore italiano: Marco Travaglio (sic).

L’intento di questi autori era valutare l’esistenza di una relazione tra inquinamento atmosferico e mortalità da SARS-CoV-2 in Inghilterra. A questo scopo sono state analizzate le medie annuali delle concentrazioni (in μg/m3) dei tre inquinanti per cui erano disponibili più dati: NO2, NOx e ozono, ottenute da rilevazioni giornaliere negli anni 2018 e 2019. Questi valori sono stati messi in relazione con i dati ufficiali sul numero dei casi e sulla mortalità (numero dei decessi) da Covid-19 relativi a sette regioni dell’Inghilterra tra febbraio e aprile 2020.

Le due regioni inglesi – Londra e le Midlands – che nel 2018-19 avevano avuto le medie più alte nei livelli di biossido di azoto (NO2), erano le stesse che nella primavera 2020 presentavano il numero più alto di decessi da Covid-19.

La correlazione significativa individuata tramite l’elaborazione statistica rivela che la passata esposizione ad alti livelli di NO2 permette di prevedere con notevole affidabilità il numero delle morti causate da Covid-19, anche dopo aver tenuto conto mediante metodi statistici delle differenze nella densità di popolazione. Gli autori affermano: “Questa è la prima evidenza scientifica del fatto che i casi e i decessi da SARS-CoV-2 in Inghilterra sono associati ai livelli di inquinamento atmosferico.

 

Una possibile spiegazione

Tutti i lavori che hanno indagato la relazione tra lunga esposizione agli inquinanti e gravità della malattia virale concordano sul possibile meccanismo in grado di spiegare tale relazione. L’origine del maggior danno provocato da Covid-19 nelle regioni dove più grave è l’inquinamento starebbe nello stato di infiammazione delle vie aeree causato dagli inquinanti, spesso accompagnato da disfunzione endoteliale, cioè infiammazione cronica dello strato di cellule che costituisce la parete interna dei vasi sanguigni.

Che la disfunzione endoteliale sia un sintomo correlato all’esposizione agli inquinanti atmosferici è un fatto noto da tempo.

Nel sito della Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi si legge (vedi qui): Le particelle sottili sospese nell’aria possono entrare facilmente nel sistema respiratorio, portando … all’attivazione di mediatori infiammatori in grado di esacerbare una eventuale infiammazione polmonare, di indurre un aumento della coagulabilità del sangue e di generare disfunzione endoteliale.” E più avanti: “L’inalazione di PM e la sua deposizione nei polmoni, specialmente di particelle molto fini, porta a una risposta infiammatoria polmonare e al rilascio di citochine nel flusso sanguigno, che a sua volta determina un aumento della coagulazione del sangue e la formazione di trombi”.

 

Il fatto che la malattia respiratoria da SARS-Cov-2 sia accompagnata nei casi più gravi da pesanti complicanze cardiovascolari ha indotto gli studiosi a indagare i possibili meccanismi con cui l’infezione da Covid-19 può arrivare agli esiti più gravi, soprattutto nei pazienti che già soffrono di patologie cardiocircolatorie.

In un articolo pubblicato in aprile nella versione online di The Lancet (vedi qui), ricercatori dell’Universitats Spital Zürich riferiscono di avere osservato al microscopio elettronico, in preparati ottenuti da vari organi di pazienti deceduti a causa di Covid-19, le prove che il virus attacca direttamente non solo le cellule degli epiteli polmonari, ma anche le cellule endoteliali dei vasi nei molti organi in cui queste sono presenti. (I recettori ACE2, a cui il virus si lega con le sue “spine”, sono abbondanti non solo sulle pareti degli alveoli polmonari, ma anche sulle cellule endoteliali di molteplici organi, p.e. cuore, reni, intestino.)

Quindi l’attacco diretto del virus e la risposta immunitaria del paziente causano una grave infiammazione, non solo a livello dei polmoni con pesante compromissione della funzione respiratoria, ma anche degli endoteli nei vasi. Ciò può provocare una diffusa disfunzione endoteliale accompagnata da vasocostrizione e ipercoagulazione del sangue, con formazione di trombi e compromissione della circolazione in molteplici organi. Il quadro è aggravato da una produzione abnorme di citochine, proteine-segnale che richiamano le cellule immunitarie nei tessuti attaccati dal virus. Ma ‘l’eccesso’ di risposta infiammatoria causa gravi danni ai tessuti, e la cosiddetta ‘tempesta di citochine’ porta alla necrosi di numerose cellule in molti organi, e spesso alla morte del paziente.

Gli effetti di Covid-19 appaiono particolarmente pesanti nei pazienti con una preesistente disfunzione endoteliale, legata a varie condizioni: età avanzata, tabagismo, ipertensione, diabete, obesità, malattie cardiovascolari. In questa lista compaiono le stesse patologie che, come abbiamo detto sopra, hanno come importante fattore predisponente una lunga esposizione agli inquinanti atmosferici.
Conferme di questo possibile meccanismo, in cui ha un ruolo cruciale la disfunzione endoteliale, sono venute da un importante lavoro italiano, pubblicato alla fine di maggio sulla rivista
American Journal of Hematology (vedi qui).
La ricerca è opera di un gruppo attivo presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, collegato all’Università di Milano-Bicocca.

Questi ricercatori hanno individuato il meccanismo molecolare da cui dipende lo sviluppo delle trombosi venose e arteriose, a cui viene attribuita gran parte della mortalità da Covid-19. L’ingresso del virus nelle cellule endoteliali mette fuori uso il recettore ACE2, il quale perde la capacità di regolare l’attività di altre proteine, coinvolte nel corretto funzionamento degli endoteli e nella permeabilità dei vasi. Questa catena di reazioni porta a un’ipercoagulabilità del sangue, con effetti trombotici gravi in tutti gli organi.

Questa ricerca conferma dal punto di vista biochimico/molecolare quanto i ricercatori svizzeri hanno osservato nei loro preparati: l’attacco diretto del virus colpisce, oltre che i polmoni, anche le cellule delle pareti dei vasi, con conseguente grave disfunzione endoteliale che può pesantemente contribuire agli esiti letali dell’infezione.

 

In conclusione

Siamo ancora agli inizi nella conoscenza di questo nuovo coronavirus, molti studi saranno ancora necessari per arrivare a individuarne le caratteristiche e i modi d’interazione con altri fattori. Tuttavia, in base a quanto oggi sappiamo, sembra molto plausibile che l’esposizione agli inquinanti atmosferici possa costituire – al di là di un’eventuale azione del particolato come carrier – un importante fattore predisponente agli effetti più gravi dell’infezione da SARS-Cov-2, acutizzando la disfunzione endoteliale cronica causata dal particolato e dagli ossidi di azoto.

Eliminare (o almeno ridurre) l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità dell’aria diventa quindi una priorità assoluta anche per aumentare le nostre difese nei confronti di Covid-19.

E’ vero che “tornare all’aria pulita” è come dire “rovesciare questa società come un calzino”, quindi è un percorso difficile e purtroppo non breve. Ma non abbiamo alternative: l’uscita da tutte le crisi devastanti che stiamo attraversando dipende dal rovesciarlo davvero, il calzino, e in tempi stretti. Trovare i modi e le soluzioni per farlo dipende da noi*, dalla nostra decisione di “fare pace col pianeta”, come direbbe il buon vecchio Barry Commoner, e dalla nostra volontà di stare finalmente bene.

 

*Un’interessante proposta di road map è contenuta nell’articolo di Guido Viale che trovi qui.