RISCHI DI INQUINAMENTO GENETICO NELLA CULLA DEL MAIS A VENT’ANNI DALLA PRIMA SCOPERTA

di Daniela Conti

SOMMARIO

Parte I – Dalle origini al presente

INTRO: 2001 SCOPPIA IL CASO DEL MAIS MESSICANO

  1. LA MERAVIGLIOSA STORIA DEL MAÍZ
  2. La domesticazione del mais
  3. Dal teosinte al mais  
  4. La grande biodiversità del mais        
  5. I MAIS “MODERNI”
  6. I mais ibridi
  7. Si afferma l’agricoltura industriale
  8. I mais geneticamente modificati (GM)

Parte II – L’inquinamento oggi          

  1. Alcune caratteristiche generali dei mais transgenici
  2. Il DNA degli OGM è un mosaico di “pezzi” da specie differenti
  3. Il promotore 35S del CaMV
  4. I DANNI DEI MAIS GM NEL MONDO
  5. Danni dei mais resistenti agli erbicidi
  6. Il glifosate probabile cancerogeno per l’uomo
  7. Danni dei mais resistenti agli insetti parassiti
  8. L’escalation delle resistenze negli insetti
  9. LA CONTAMINAZIONE IN MESSICO
  10. Anni di studi scientifici
  11. Varietà native e mais GM della prima e della seconda ondata

Parte III – Messico: Il bivio attuale

  1. PANORAMA GENERALE
  2. LA SITUAZIONE ATTUALE DEL MAIS MESSICANO
  3. Comunità indigene e salvaguardia del mais nativo: uno studio socio-biologico
  4. La nuova legge e la risposta dei movimenti contadini

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Parte I – Dalle origini al presente

INTRO: 2001 SCOPPIA IL CASO DEL MAIS MESSICANO

Sono passati ormai vent’anni da quando, alla fine del 2001, fu pubblicato su Nature (vedi qui) il lavoro di Quist e Chapela, due ricercatori di Berkeley, che denunciava al mondo l’inquinamento genetico da mais GM (geneticamente modificato) trovato nel DNA di varietà native del mais messicano (vedi il mio articolo del 2002 qui nel sito de La Biolca e qui in questo blog)  Il fatto era gravissimo, perché il Messico è la culla del mais e tuttora custodisce oltre il 60% della naturale diversità genetica di questa pianta, oggi coltivata in tutte le zone temperate del mondo. Insieme al riso, al grano e alla patata, il mais è una delle 4 piante che sostengono per oltre il 50% l’alimentazione umana a livello mondiale. L’omogeneità genetica creata dall’inquinamento da OGM stava mettendo a rischio il patrimonio genetico inestimabile di questo fondamentale alimento.

Come era stato possibile? In Messico era in vigore dal 1998 una moratoria, che vietava le semine dei mais GM a fini sia commerciali sia sperimentali. Quale era stata dunque la fonte dell’inquinamento?

E qual è la situazione oggi, a vent’anni di distanza da quella prima scoperta, e mentre il Messico discute su una legge che, a detta delle organizzazioni contadine, rischia di aprire il territorio messicano ai mais GM?

Ma prima di addentrarci nella storia del mais degli anni 2000 d.C., facciamo un volo indietro nel tempo di 9000 anni, e ancora più in là.

LA MERAVIGLIOSA STORIA DEL MAÍZ

Indietro indietro nel tempo, intorno a 40 000 anni fa, tribù asiatiche di Homo sapiens migrarono dalla Siberia, traversando l’attuale stretto di Bering, e iniziarono a colonizzare le Americhe. A passo d’uomo discesero, nell’arco di millenni, dall’Alaska alla Terra del Fuoco.

antichi migranti

Intorno a 40 000 anni fa, tribù asiatiche di Homo sapiens migrarono nelle Americhe. Fonte vedi testo.

Reperti archeologici dimostrano (vedi qui ) che molti territori dell’attuale Messico erano già abitati da gruppi di cacciatori- raccoglitori verso il 30 000 a.C., almeno 31 492 anni prima che le navi spagnole di Colombo approdassero ad Haiti.

La domesticazione del mais

Poche cose dimostrano la sapienza di quegli umani antichi e la loro comunione con la terra come la domesticazione delle piante alimentari, un fenomeno che si è ripetuto in tutti i continenti, segnando in modo definitivo la storia umana con la nascita dell’agricoltura.

Tra il 9000 e il 7000 a.C., nei territori dell’odierno Messico furono compiuti i primi passi nella domesticazione di importanti piante alimentari come l’amaranto, il peperoncino, la zucca, i fagioli e il mais.

Nella notte dei tempi, prima della nascita dei grandi imperi del Mesoamerica, prima che nei miti Maya e Aztechi gli dei creassero gli esseri umani forgiandoli col mais, gli antichi abitanti dell’odierno Messico furono in grado di trasformare un cespuglio che dava chicchi sparsi commestibili in una pianta alta, vigorosa, che portava pannocchie cariche di chicchi. Alle capacità scientifiche di osservazione e selezione di quei lontani coltivatori – capacità che si sono tramandate nei millenni e che continuano a originare biodiversità a ogni nuova generazione di contadini messicani – tutta quanta l’umanità deve la nascita e poi la continua evoluzione del mais. Un tesoro che non possiamo perdere..

Mesoamerica 7000 a.C.

Gli antichi abitatori del Messico riuscirono a domesticare il teosinte, la pianta selvatica da cui ottennero il mais.

Dal teosinte al mais                

Tra le piante più importanti per la sopravvivenza dei primi abitatori le vallate del Centro America, vi erano i teosintes, gli antenati del mais.

Il teosinte che alcuni gruppi indigeni chiamano tuttora “madre del maízè una pianta cespugliosa, con molti rami che portano tanti piccoli frutti, i quali alla maturità appaiono come una sorta di astucci con all’interno pochi chicchi (Figura 1 B). Osservando la naturale diversità fra le piante di teosinte – alcune producevano più chicchi di altre – e avendo imparato a riconoscere i cicli naturali che, attraverso le stagioni, portano dal chicco-seme alla nuova pianticella e poi ai suoi frutti simili a quelli della pianta madre, quegli antichi coltivatori avviarono un’opera straordinaria. Da quella selezione originaria sono derivate, lungo una catena ininterrotta, le tante varietà native di mais (maíz criollo) ancora oggi coltivate e selezionate dai contadini messicani.

Analisi genetiche e archeobotaniche hanno dimostrato che, verso il 7000 a.C., nei campi intorno al Rio de las Balsas crescevano già, accanto alle piante spontanee di teosinte, anche le alte piante del mais, frutto di un sapiente lavoro umano. A differenza delle piante di teosinte, molto ramificate e con tanti astucci fibrosi contenenti pochi chicchi, le piante di mais hanno in genere un unico fusto che può essere alto parecchi metri, mentre i chicchi sono riuniti a centinaia in una o in poche grosse pannocchie per pianta (Figura 1 A, B).

confronto fra teopsinte e mais

Figura 1
Confronto fra la pianta del teosinte e quella del mais.
Fonte: Chin Jian Yang, Luis Fernando Samayoa, et al.. “The genetic architecture of teosinte catalyzed and constrained maize domestication”. PNAS March 19, 2019 116 (12) 5643-5652; first published March 6, 2019

Studi genetici recenti (vedi qui e qui) hanno dimostrato che il mais ha lo stesso numero di cromosomi (20) dei suoi parenti selvatici, e che a livello genetico presenta una speciale somiglianza con una particolare varietà di teosinte, la Zea mays parviglumis, che si rivela ia sua diretta progenitrice. Nonostante le differenze morfologiche, il teosinte e il mais appartengono dunque alla stessa specie vegetale. Il nome latino dato alla specie, Zea mays, deriva dallo spagnolo maíz, a sua volta derivante da mahís, il nome usato nelle isole caraibiche in cui sbarcò Colombo. La loro somiglianza genetica fa sì che tutt’oggi teosinte e mais si incrocino facilmente dando origine a ibridi fertili.

La grande biodiversità del mais                   

La facilità di impollinazione crociata tra le differenti varietà native del mais, così come fra mais e teosinte, è una delle fonti della grande variabilità genetica del mais. Anche se la stessa pianta porta fiori maschili (pennacchio) e fiori femminili (riuniti nella spiga o pannocchia), raramente il polline (gameti maschili) cade sulla spiga della stessa pianta. Più spesso è bloccato dalle foglie, disperso dal vento e va a fecondare i fiori nella spiga di altre piante; si parla quindi di impollinazione aperta, detta anche anemofila perché mediata dal vento che può trasportare il polline su piante poste anche a chilometri di distanza.

In una stessa pannocchia, ogni chicco è il frutto di un evento di fecondazione indipendente. Ovvero, gran parte dei fiori femminili di una stessa spiga (pannocchia) vengono fecondati da polline proveniente da altre piante. Perciò la stessa pannocchia può essere composta da chicchi geneticamente diversi tra loro. Ne deriva che in un campo di mais nativo la diversità genetica è enorme.

Ma oltre agli incroci spontanei fra le diverse varietà native, la grande biodiversità del mais è anche il frutto della continua selezione operata dai campesinos messicani, riseminando o incrociando fra loro le varietà più adatte ai diversi ambienti, o dotate di caratteristiche alimentari o colturali particolarmente apprezzate.

Le circa 60 varietà native di mais differiscono sia per i caratteri esteriori sia per proprietà e adattamenti particolari. Dal punto di vista morfologico, le differenze possono riguardare il colore dei chicchi (dal bianco latte al nero, passando per il giallo, l’arancio, il rosso e il viola; i diversi colori sono dovuti a pigmenti differenti, tutti dotati di importanti proprietà nutrizionali), oppure riguardano le dimensioni della pianta, o la forma o la grandezza della pannocchia o del chicco.

diversità del colore dei chicchi di mais

La grande biodiversità del colore dei chicchi di mais.

Altrettanto grande e importante è la gamma di proprietà fisiologiche e di adattamenti del mais, frutto dell’attenta selezione contadina. Sono state infatti ottenute varietà locali adattate ad ambienti diversissimi; ciò permise già in epoca precolombiana la diffusione del mais a nord, attraverso le grandi pianure dell’America settentrionale fino al Canada, e a sud, lungo la cordigliera delle Ande nei territori abitati dagli Incas, fino all’Argentina. Così abbiamo varietà di mais adattate alla pianura o all’alta quota (da 0 a 4500 m), a tipi di terreno diversi, a differenti regimi di precipitazioni, umidità, temperatura, ecc.

Addirittura esiste una varietà di mais criollo – oggi studiatissima e al centro di molti appetiti (come dirò meglio nel prossimo articolo Di chi è il mais?) – chiamata oloton che, grazie a microrganismi simbionti che vivono nelle sue radici aeree, assorbe direttamente l’azoto dall’aria.

campo di mais oloton

La varietà di mais nativo detta oloton utilizza l’azoto assorbito direttamente dall’aria.. Fonte: Martha Pskowski “Indigenous Maize: Who Owns the Rights to Mexico’s ‘Wonder’ Plant?” • July 16, 2019. Foto di Allen Van Deynze/UC Davis            


I MAIS “MODERNI”

Con l’arrivo delle caravelle guidate da Cristoforo Colombo, nel 1492, una nuova era ha inizio. Sull’onda dell’espansione del dominio spagnolo e portoghese nel Nuovo e nel Vecchio Mondo, incomincia una fase di omogeneizzazione culturale, economica e biologica* del mondo; oggi potremmo chiamarla la prima globalizzazione della storia. Il mais ne rappresenta una componente importante. Esce dalle Americhe e, nel corso del ‘500 e ‘600, diventa uno degli alimenti principali anche in Europa; da qui poi si diffonde in Africa, Medio Oriente, Balcani e Asia, spesso rimpiazzando i cereali locali, quali farro, sorgo, segale, miglio, avena e grano saraceno.

*Tra le specie importanti per la nutrizione umana originarie delle Americhe vi sono, oltre al mais, piante come la patata, il pomodoro, le più comuni varietà di fagioli, il cacao, la manioca, il peperoncino, e animali come il tacchino.

diffusione del mais

Area di diffusione del mais-

I mais ibridi

Nel corso di ‘700 e ‘800, nelle zone del mondo in cui si era diffusa la coltura del mais si coltivavano varietà locali, derivate da quelle originarie mesoamericane, e progressivamente sempre meglio adattate alle differenti condizioni locali di crescita. Quell’adattamento era il frutto delle attente pratiche di selezione e risemina messe in atto dai contadini, che sapevano riconoscere la biodiversità locale e i fattori locali di selezione naturale, e sfruttarli a proprio vantaggio. Centinaia di ‘razze’ locali di mais ebbero origine nei diversi territori, in tutto il mondo. Arriviamo così al ‘900.

Agli inizi del XX secolo, negli Stati Uniti alcuni agronomi che lavorano per istituti di ricerca pubblici scoprono che dalle varietà di mais tradizionali si possono ottenere linee pure per certi caratteri prescelti (tramite tecniche di autofecondazione tra polline e fiori femminili della stessa pianta, applicandole manualmente).

autofecondazione

Metodo per ottenere l’autofecondazione di piante cpn fiori maschili e 1emminili.

Col susseguirsi delle generazioni, queste piante diventano più deboli e meno produttive, a causa dell’omogeneità genetica (omozigosi) che si produce. Ma incrociando piante di due linee pure differenti, la variabilità genetica (eterozigosi) che si stabilisce nei loro ibridi porta a piante più vigorose e produttive delle due linee parentali. Tuttavia questo vigore si manifesta solo negli ibridi di prima generazione (F1, cioè prima generazione filiale). Infatti, riseminando gli ibridi F1, ii meccanismi stessi della trasmissione ereditaria portano alla dispersione dei caratteri vantaggiosi.

La scoperta degli ibridi, molto più produttivi, portò in breve tempo gli agricoltori statunitensi ad abbandonare le varietà tradizionali a impollinazione aperta e riutilizzabili per la semina successiva. Ciò li obbligava a ricomprare ogni anno i semi ibridi dalle appena sorte compagnie sementiere private, le sole che potevano permettersi gli ingenti investimenti in tempo e capitali necessari per produrre e distribuire grandi quantità di semi ibridi. Negli anni Trenta del ‘900, le varietà ibride occupavano già il 90% del campi USA coltivati a mais.

autofecondazione del mais

Il metodo per l’autofecondazione applicato in un campo di mais.

Si afferma l’agricoltura industriale                   

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi negli anni Sessanta con la cosiddetta Rivoluzione Verde e infine con il processo di Globalizzazione in atto dagli anni Novanta a oggi, si è imposto in tutto il mondo il modello della agricoltura industriale, basato sulla meccanizzazione, sull’uso massiccio di prodotti chimici e su sementi ibride selezionate dall’industria.

Ricerca, produzione e commercializzazione delle sementi e dei prodotti chimici usati in agricoltura lungo questo percorso si sono andate concentrando nelle mani di un numero sempre più ristretto di grandi corporation, e il trend continua tuttora. Oggi 4 colossi controllano l’intero settore dell’agrochimica a livello mondiale.

Con il suo corollario di deforestazione e inquinamento, l’agricoltura industriale sta causando a livello globale una perdita irrimediabile di ricchezza genetica (= biodiversità), che non risparmia nessuna specie di piante e di animali. Le colture agricole sono un cardine del disastro generale. Centinaia di varietà locali, con la loro ricchezza in geni per la resistenza a insetti e malattie e a particolari condizioni ambientali, sono scomparse soppiantate da poche varietà industriali. Nel caso specifico del mais, oggi appena 6 varietà coprono il 71% della superficie globale dedicata a questa coltura. Tale uniformità è, se possibile, ancora più preoccupantesullo sfondo dei grandi sconvolgimenti portati dal riscaldamento globale.

Organismi trasgenici

I mais geneticamente modificati (GM)

Gli anni Ottanta del ‘900 segnano una svolta verso un’ancora più stretta dipendenza dell’agricoltura dalle applicazioni tecnologiche della grande industria. Dopo che nel 1980 una sentenza della Corte Suprema americana riconosce il diritto di brevetto sugli organismi di cui si è modificato il DNA, tramite le tecniche di ingegneria genetica (o del DNA ricombinante) sviluppate nel corso degli anni Settanta, prende il via una corsa sfrenata allo sviluppo di colture e animali geneticamente modificati (OGM).

Nel 1996 la Food and Drug Administration (FDA) approva la commercializzazione dei primi due tipi di mais GM, detti transgenici perché modificati mediante l’inserimento nel loro DNA di geni di altre specie, nell’intento di apportare alla pianta caratteristiche ritenute utili. Uno di questi mais, brevettato da Monsanto, porta inserito un gene batterico che gli conferisce resistenza all’erbicida prodotto dalla stessa Monsanto, il Roundup, il cui principio attivo è il glifosate. L’altro tipo di mais GM, brevettato da Bayer, è detto Bt perché porta inserito un gene del batterio Bacillus thuringiensis, che governa la produzione di proteine tossiche per certi insetti.

Nella Parte II dell’articolo approfondirò alcuni aspetti dei mais GM. Per ulteriori informazioni sul tema degli organismi geneticamente modificati (OGM), e sulle controversie scientifiche e sociali che dagli anni Novanta in poi hanno accompagnato il loro rilascio nell’ambiente, si possono leggere in questo blog tutti gli articoli nella categoria Ingegneria genetica e inoltre l’articolo Epigenetica: la rivoluzione copernicana in biologia. https://nuovabiologia.it/category/epigenetica/

Continua nella Parte II